Il mondo piange Pelè, leggenda e cantoRe del calcio

Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Mondo dello sport in lutto per la morte di Pelè, all’anagrafe Edson Arantes Do Nascimento, scomparso dopo una lunga malattia. È uno degli sportivi più amati di sempre, finora l’unico giocatore di calcio ad aver vinto tre titoli del Mondiale. In forma privata ha incontrato Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Pelé, il re immortale del calcio, è morto a 82 anni. Simbolo di uno sport, di due maglie e di un Paese, ha brillato nei quattro angoli del pianeta. Con queste parole il quotidiano brasiliano “O Globo” ha annunciato la morte il 29 dicembre di “O Rei”, che in carriera ha vinto tre Coppe del mondo e realizzato, complessivamente, 1.281 reti in 1.363 partite. In Brasile sono stati decretati tre giorni di lutto nazionale.

Edson Arantes do Nascimento, semplicemente Pelè

La storia di Pelè si intreccia innanzitutto con quella del suo nome. Per la scelta, il padre João Ramos do Nascimento aveva deciso di rendere omaggio all’inventore statunitense Thomas Alva Edison. Ma nella registrazione del neonato a Tres Coracoes, nello Stato brasiliano di Minas Gerais, l’impiegato aveva compiuto un errore omettendo la “i”. Edson Arantes do Nascimento, da bambino, giocava scalzo per strada utilizzando palloni fatti di stracci o addirittura con un mango. Tra i suoi idoli c’era anche un portiere che si chiamava “Bilé”. Il piccolo Edson urlava “Bilé, Bilé”. Sentendo quel nome storpiato, i compagni di scuola avevano cominciato a chiamare l’amico con il soprannome di Pelè. “Tutti i ragazzi a scuola – ha poi ricordato il campione brasiliano in una intervista a Globo Tv – chiamavano ‘Pelé, Pelé’ e io litigavo con tutti. È così che ho ottenuto il soprannome Pelé, senza sapere perché. Oggi lo adoro, perché è un nome conosciuto in tutto il mondo”.

Un tesoro nazionale

La parabola sportiva di Pelè è straordinaria. Nato nel 1940, la sua infanzia è segnata dalla povertà. A 15 anni viene chiamato per un provino con il Santos. Già pochi anni dopo la sua popolarità non ha confini. Nel 1967 gioca un’amichevole in una terra, la Nigeria, scossa dalla guerra civile. Viene siglata una tregua di due giorni per permettere a tutti di vedere il fuoriclasse brasiliano in campo. In Brasile viene dichiarato “Tesoro nazionale” e nella finale del 1970 della Coppa del Mondo a Città del Messico contro l’Italia segna un gol memorabile: resta come sospeso in aria e segna una delle reti più iconiche della storia del calcio. Il 1974 è l’anno del trasferimento negli Stati Uniti. Nel 1977 gioca per l’ultima volta, disputando un’amichevole tra New York Cosmos e Santos, che viene trasmessa dalle televisioni di 38 Paesi.

L’impegno nel sociale

Dopo il ritiro, Pelé assume diversi incarichi istituzionali, tra cui quello di ambasciatore per l’Onu. Nel 1995 viene nominato ministro per lo Sport in Brasile. Nei decenni successivi si distingue anche nel sociale come nella lotta contro le droghe e nelle battaglie contro il razzismo. Partite da vincere ripercorrendo anche i suoi passi, i suoi scatti irresistibili.

Gli incontri con i Papi

Il primo incontro di Pelè con un Pontefice risale al 1966, quando il fuoriclasse brasiliano viene accolto da Papa Paolo VI. Seguono poi gli incontri, sempre in forma privata, con Giovanni Paolo II in più occasioni e con Benedetto XVI nel 2006. Durante il Pontificato, Papa Francesco più volte ha posto la domanda: chi è più forte Pelè o Maradona? Un interrogativo, risuonato ad esempio durante l’incontro con i membri della comunità cattolica Shalom, destinato a protrarsi oltre l’America Latina e a rimanere ancora aperto. Il 21 febbraio del 2014 Francesco ha ricevuto l’allora presidente del Brasile Dilma Rousseff che ha donato al Papa una maglia della nazionale brasiliana, firmata da Pelè con la dedica: “A Papa Francesco con rispetto e ammirazione”.

Monsignor Mistò: Pelè dimostra che c’è un futuro possibile per tutti

Alla notizia della scomparsa del campione brasiliano, morto ieri sera, il docente di Teologia–Sacra Scrittura alla Libera Università Maria SS. Assunta di Roma sottolinea che, anche quando il punto di partenza è difficile perché segnato dalla povertà, si possono raggiungere mete magnifiche.
L’esempio di un personaggio unico come Pelè non tramonta con la sua morte. L’eco mondiale che ha ricevuto la notizia della sua scomparsa, ieri sera, ci dimostra che, in particolare per le persone che hanno segnato la realtà sociale, c’è qualcosa di imperituro. A sottolinearlo, soffermandosi sulla figura del fuoriclasse brasiliano, è monsignor Luigi Mistò, docente di Teologia-Sacra Scrittura alla Libera Università Maria SS. Assunta (LUMSA) di Roma e presidente del FAS, il Fondo Assistenza Sanitaria della Santa Sede.

Trasformare i sogni in realtà

Pelè, spiega monsignor Mistò, è “probabilmente il calciatore più grande di tutti i tempi” ed è “un mito assoluto del calcio”. Restano le sue gesta straordinarie e i suoi gol memorabili, tra cui quello segnato in Svezia nel campionato mondiale nel 1958 e quello realizzato di testa contro l’Italia nel 1970 in Messico. “Credo che la sua vita dimostri questo: tutti hanno la possibilità” di realizzare i loro sogni. Questo è un grande messaggio, anche per i giovani di oggi che “a causa della pandemia e della guerra in atto”, rischiano di vedersi “rubare il futuro”. Pelè dimostra che “c’è un futuro possibile per tutti”. Non importa il punto di partenza. E, anzi, quando questo punto di partenza è difficile – come è stata l’infanzia di Pelè segnata dalla povertà – ci può essere un sogno che, se coltivato, si tramuta in una realtà magnifica.

Un esempio per i giovani

Un altro messaggio importante, in particolare per i giovani, è quello di mettere a disposizione degli altri le proprie capacità. Come ha fatto Pelè, ricorda monsignor Mistò, negli incarichi istituzionali che ha assunto dopo il ritiro dal mondo del calcio, e attraverso l’impegno profuso nell’ambito del sociale come nelle battaglie, ad esempio, contro il razzismo. Pelè ha inoltre legato la sua carriera a due squadre: il Santos e nell’ultima fase il Cosmos di New York. Questo dimostra che ci si può impegnare in alcune strade e vincere le sfide lungo il cammino. Anche questo è un messaggio significativo: “Quando si coltiva un sogno – conclude monsignor Mistò – lo si deve perseguire con tenacia e pazienza”. E si deve portare avanti questo sogno, “anche con fatica e con sacrificio”.

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