Marò: ambasciatore non può lasciare l’India

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Sempre più intricata la vicenda dei due marò italiani accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati. La Corte Suprema di Nuova Delhi ha prorogato fino al 2 aprile – giorno in cui è stata fissata in India la prossima udienza su questo caso – il divieto imposto all’ambasciatore italiano Daniele Mancini di non lasciare il Paese. Al diplomatico non è stata inoltre riconosciuta alcuna immunità diplomatica. Entrambi i Paesi rivendicano la competenza giuridica. L’Unione Europea, intanto, auspica che India e Italia trovino una soluzione nel rispetto delle norme internazionali. Su questa vicenda, Amedeo Lomonacoha raccolto il commento di Vincenzo Buonomo, professore di diritto internazionale alla Pontificia Università Lateranense:

R. – La competenza a giudicare i marò italiani è dell’Italia, in quanto i due rappresentano un organo dello Stato all’estero. E questo per un principio consolidato del Diritto internazionale. La faccenda poi si è evoluta, perché probabilmente al solo aspetto giuridico si è aggiunto anche un profilo più direttamente diplomatico, che ha cercato di risolvere il problema attraverso i mezzi propri della mediazione diplomatica, cercando anche di non approfondire un’applicazione del Diritto mediante, per esempio, un arbitrato internazionale o un ricorso alla Corte internazionale di giustizia. L’ultima situazione è quella che vede la pretesa indiana di limitare le libertà personali di un rappresentante diplomatico di un altro Paese, in questo caso l’Italia.

All’ambasciatore non riconosciute le immunità

D. – Parliamo appunto dell’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini. Non gli sono state riconosciute dall’India le immunità. Ma queste non sono sempre garantite?

R. – Le immunità sono garantite per qualunque atto che un diplomatico compia all’interno di un altro Paese. In questo caso, però, si fa riferimento al fatto che l’ambasciatore italiano si sia fatto garante, mediante una dichiarazione presentata al Tribunale e alla Corte Suprema indiana, del ritorno dei due Marò. Per questo ci sono misure restrittive nei suoi confronti. Il potere giudiziario, in questo caso, interviene in un ambito che riguarda strettamente il potere esecutivo. Questo è un ulteriore elemento, che non interpreta in modo corretto il Diritto internazionale, così come si è consolidato fino ad oggi.

I due marò torneranno in Italia

D. – La Farnesina ha già fatto sapere che i due marò non torneranno in India ed è già stata fissata l’udienza in India, il prossimo due aprile. A questo punto cosa può succedere?

R. – Io credo che dal punto di vista del Diritto internazionale, sicuramente la competenza a giudicare i due marò, per quanto riguarda l’atto commesso, è italiana. Questo è un principio – ripeto – consolidato. Per quanto riguarda l’atteggiamento della Corte indiana sull’ambasciatore italiano, credo che questo non sia proponibile, e quindi è probabile che l’India stessa poi debba rientrare nel rispetto del Diritto internazionale. Questo potrebbe portare le due parti ad un ricorso ad arbitrato, per esempio, per cercare di trovare una soluzione non al caso specifico oggi dell’ambasciatore, ma di tutta la questione.

L’ipotesi dell’arbitrato internazionale

D. – Quindi l’ultima parola, si spera definitiva, potrebbe essere affidata ad un arbitrato internazionale?

R. – Tenendo conto, però, che la Corte internazionale di giustizia già in passato si è espressa dicendo che il Diritto diplomatico, di per sé, ha tutti i mezzi per poter garantire le soluzioni dei conflitti, che possono sorgere in ambito diplomatico. Quindi il ricorso all’arbitrato sarebbe già un di più. Sarebbe interessante, in questo caso, capire se c’è una buona fede e volontà delle parti di poter arrivare ad una soluzione per via di mediazione, prima di giungere ad un arbitrato.

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By Mario Panaro [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], from Wikimedia Commons

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