Sisma in Abruzzo, 4 anni dopo

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Quattro anni dopo il sisma che in Abruzzo ha provocato 309 vittime, l’Aquila è ancora una città fantasma, circondata da macerie e in attesa di una ricostruzione che restituisca alla popolazione la speranza nel futuro. Il Paese – ha detto stamani il presidente del Senato, Piero Grasso, nel corso della sua visita nel centro storico della città – non può restare insensibile a quello che rappresenta l’Aquila per la nazione. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

La ricostruzione della città “è una questione nazionale”. Dopo quattro anni – ha spiegato il presidente del Senato – “siamo ancora al punto di partenza” ma adesso, dopo un prolungato periodo di emergenza, ci sono le condizioni per poter ripartire e ricostruire, entro 10 anni, L’Aquila e i Comuni dell’Abruzzo colpiti dal sisma. Servono almeno 7 miliardi e mezzo – ha detto il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente – altrimenti la città muore. Oltre 12 mila persone hanno partecipato, la scorsa notte, alla fiaccolata per ricordare le 309 vittime del sisma che il 6 aprile del 2009, alle 3:32, ha devastato l’Aquila e zone circostanti.

L’arcivescovo dell’Aquila: credere nella luce di Gesù

In una città ancora profondamente ferita dal terremoto, è stato prima il rumore dei passi a fare breccia nel silenzio della notte. Poi il ricordo di quella tragedia, accompagnato dalla preghiera, si è unito ai 309 rintocchi delle campane della chiesa delle Anime Sante e alla lettura dei nomi di tutte le vittime. Esortando a credere nella luce di Gesù e a non lasciarsi sconfiggere dallo sconforto, l’arcivescovo dell’Aquila, mons. Giuseppe Molinari, ha ricordato che quattro anni fa il sisma scosse la città nella notte del Lunedì Santo. “Allora – ha aggiunto il presule – iniziò la nostra passione, quest’anno siamo nel periodo della Pasqua e della Resurrezione”.

Tra le 309 vittime del sisma del 6 aprile del 2009, 55 erano studenti universitari fuori sede. Tenere vivo il loro ricordo è il compito di Avus, l’Associazione vittime universitarie Sisma. Amedeo Lomonaco ha intervistato Sergio Bianchi, presidente di Avus:

 

R. – Sono il papà di Nicola Bianchi, aveva 22 anni e risiedeva in Via D’Annunzio, a L’Aquila. Noi, con la nostra Associazione, portiamo avanti il ricordo, perché adesso solo questo possiamo fare. Non possiamo fare altro per i nostri figli. Stiamo anche pubblicizzando in questi giorni un premio di laurea che consegneremo nel 2014 ad uno studente che si laurei in geologia. L’Aquila ha subito, purtroppo, questi gravi danni. Io spero che la ricostruzione si avvii subito e che l’Aquila torni a vivere. Certo, noi siamo stati abbandonati dalle istituzioni, totalmente ignorati. Noi ci siamo riportati i figli a casa, e da lì si sono spenti i riflettori su di noi. Lo Stato non ci ha assistito in nessun modo.

Ferita sempre aperta

D. – Una ferita che purtroppo è sempre aperta, non si potrà mai chiudere. Sono passati quattro anni: eppure il ricordo dell’Aquila sembra concentrarsi solo intorno alla ricostruzione esteriore… Tante macerie interiori continuano a lacerare gli animi. Di fronte a questa devastazione interiore, si è fatto poco, si può fare poco, purtroppo…

R. – Il problema è proprio questo: evidentemente, la ricostruzione è un argomento che fa pubblicità al mondo politico. Io ritengo che il mondo politico stia sottovalutando l’aspetto umano di questa vicenda. L’aspetto interiore, poi, è stato evitato proprio, perché è quello più doloroso, è quello che fa smuovere le coscienze.

Ci sentiamo abbandonati

D. – Quindi, vi siete sentiti soli? Non c’è stata nessuna forma di vicinanza?

R. – Abbandonati totalmente. Di fatto, noi non abbiamo avuto appoggio morale da nessuna istituzione. Noi soprattutto, noi che non siamo aquilani. Io non sono un terremotato e mio figlio non è stato un terremotato. E non è un terremotato a tutt’oggi. Ma non che la definizione “terremotato” dia qualche vantaggio: noi non vogliamo vantaggi. Noi forse alla fine volevamo soltanto che qualcuno ci chiedesse scusa per quello che è accaduto. Ma neanche questo. Noi cerchiamo di rimettere in piedi la nostra famiglia, cerchiamo di coalizzarci tra sventurati per farci forza per guardare un po’ più avanti…

Non si dimentichino gli errori

D. – E di promuovere anche queste iniziative in ambito culturale, come questo Premio di laurea, proprio per dare slancio allo studio, alla ricerca, per dare alla scienza ancora più sicurezza, ancora più fondamento …

R. – Sì: il nostro obiettivo è proprio questo. Il nostro obiettivo è quello di evidenziare gli errori fatti e di spingere i nuovi studenti a non dimenticare gli errori fatti, perché dagli errori fatti si può partire per un futuro forse migliore, per non commettere di nuovo gli stessi errori. La geologia è una materia importante, che può essere fondamentale per salvare tante persone. Noi siamo un’Associazione di genitori che hanno perso i figli: non abbiamo tante possibilità economiche, ma quelle poche che abbiamo stiamo cercando di utilizzarle al meglio, cercando di aiutare qualche studente che domani si renda utile per la causa. Noi siamo convinti che questo sia un atto d’amore e noi lo dobbiamo ai nostri figli. Quindi, continueremo a farlo con lo stesso impegno con cui lo stiamo facendo oggi.

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