Cultura degli abbracci, orizzonte e lievito per il post pandemia

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Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Puntata di “Doppio Click”, programma della Radio Vaticana, dedicata ad uno dei più potenti ‘balsami’ per il cuore degli uomini: quello degli abbracci, oggi sospesi e perduti a causa dell’emergenza sanitaria. Lo spunto è un’omelia pronunciata esattamente cinque anni fa dal Papa e incentrata sulla misericordia e sull’abbraccio di Dio.

L’abbraccio non è un elemento secondario della vita. Il distanziamento sociale ha profondamente modificato il tessuto relazionale: non poter abbracciare un familiare, un amico o la persona amata può portare a sentirsi isolati, tristi, soli. Ma non si deve temere perché nessuno è realmente solo. C’è un abbraccio consolante che avvolge di tenerezza l’umanità sofferente, anche in questo tempo sferzato dalla tempesta della pandemia. È l’abbraccio misericordioso di Dio che consola e ama come un padre. Il Signore è vicino ad ogni suo figlio e riscalda con il suo amore il cuore degli uomini, in questi giorni poco irrorati dal calore di un abbraccio a causa delle misure di contrasto contro il coronavirus.

Sorpresi da un abbraccio

L’abbraccio dell’amore di Dio è senza limiti. Dio “ama sempre per primo”, senza condizioni, e ci accoglie così come siamo per abbracciarci e perdonarci come un padre. Papa Francesco lo ha ricordato esattamente 5 anni fa, l’8 gennaio del 2016, durante la meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, nell’Anno Santo della Misericordia. Un tempo speciale – come di legge nella bolla di indizione del Giubileo straordinario – “per aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali”. In questo frangente storico, dove quelle periferie sono ancora più vulnerabili a causa della pandemia, le parole pronunciate da Francesco cinque anni fa risuonano con ancor più forza. In quell’occasione il Papa ha sottolineato che “quando noi troviamo Dio, c’è sempre una sorpresa: è lui che ci aspetta per primo; è lui che trova noi”. L’invito è dunque quello di andare senza indugi dal Signore, che ci aspetta e ci perdona. Dio, ha spiegato il Pontefice durante l’omelia dell’8 gennaio del 2016, farà come il padre “col figliol prodigo che ha speso tutti i soldi nei vizi”. “Non ti lascerà finire il tuo discorso, con un abbraccio ti farà tacere: l’abbraccio dell’amore di Dio”.

La speranza oltre la paura

La forza dell’abbraccio è impressa anche nel primo sguardo che si apre dopo aver varcato l’ingresso della Basilica di San Pietro: nella scena proposta da Michelangelo, con la scultura della “Pietà”, il corpo di Gesù è accolto nell’abbraccio della Madre. Le braccia aperte di Maria sono anche quelle della Chiesa protese verso l’uomo sofferente e verso chi è vittima di quella che Papa Francesco ha definito cultura dello scarto. Lo sguardo dell’uomo, oggi offuscato dalla tempesta della pandemia, non può essere privo di speranza. Come ha ricordato il Pontefice lo scorso 27 marzo durante il momento straordinario di preghiera la vera speranza è legata a Cristo. “In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri sperimentando la mancanza di tante cose – ha detto in quell’occasione il Papa – ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi”. “Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza”.

Operatori sanitari al tempo della pandemia

In questi giorni, medici e infermieri stanno lavorando per somministrare il vaccino contro il Covid. I medici morti perché infettati dal coronavirus sono stati 282.e gli infermieri 72. Tanti di loro, soprattutto durante il lockdown, sono stati visti come dei salvatori e hanno ricevuto il grazie di tutta la nazione. Tanti ragazzi si stanno appassionando a questa professione, sottolinea Francesca Piro, medico dell’ospedale San Giovanni a Roma. “Ci hanno visto come dei salvatori, dei misericordiosi perché forse dopo tanto tempo è stato riconosciuto il ruolo umano della nostra opera” di medici. Un’opera, spiega Francesca Piro nell’intervista rilasciata a Vatican News, che ha portato noi operatori sanitari anche a dover tenere la mano ai pazienti che stavano morendo. A mettere in contatto persone, giunte al termine della loro vita, con i propri cari. “Questo è un ruolo importante che andava comunque assolto”. “Mi è mancato moltissimo il contatto – aggiunge la dottoressa Piro – e l’abbraccio con i pazienti”. “Ho visto nascere questo vaccino”, una luce in fondo a questo tunnel. “Mi sono vaccinata – ricorda Francesco Piro – il primo gennaio. La persona che mi ha vaccinato è stata una paziente di mio padre, un medico scomparso dieci anni fa. Ogni volta che incontro uno dei suoi pazienti mi commuovo. Il primo gennaio, quando sono stata vaccinata da una paziente di mio padre, mi sono emozionata. Era come se mio papà mi stringesse e fosse lì con me”.

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