Convegno sul rapporto tra etica e genetica
© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●
Coniugare etica e sviluppo scientifico, rispetto della vita e genetica. Attingere all’esperienza già sviluppata in campo diagnostico e terapeutico contro patologie che, senza un approccio di natura genetica, non sarebbero efficacemente curabili. E’ una delle priorità al centro del convegno “Prospettive in genetica, Speranza e scienza” in programma domani a Roma all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. Al convegno parteciperà anche il genetista Bruno Dallapiccola che sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, i rischi legati alla pratica sempre più diffusa dei test genetici:
“Andremo sempre più da una medicina molecolare e diagnostica, per le malattie semplici, alla ricerca delle suscettibilità o delle predisposizioni genetiche che sono presenti all’interno di tutti noi. Tanto per intenderci, ognuno di noi possiede un genoma imperfetto”.
Ansia e malati immaginari
“Ognuno di noi è potenzialmente a rischio di avere delle alterazioni a livello genetico. Alterazioni che lo possano predisporre a malattie comuni, poi, nella vita adulta o a malattie neurodegenerative, malattie metaboliche e quant’altro. La divulgazione di questo tipo di informazione può avere delle connotazioni estremamente negative. Ad esempio può mettere le persone in uno stato di ansia o creare addirittura malati immaginari”.
Sviluppo scientifico senza etica
D. – Cosa accade oggi se non si coniuga l’etica con lo sviluppo scientifico?
R. – Dei disastri! Tutto quello che può produrre la genetica viene spesso non guidato e accompagnato in maniera corretta. Un esempio: cosa rappresenta la diagnosi pre-impianto? Rappresenta un qualche cosa che, a livello dei dati europei raccolti per sei anni in 45 centri, ha documentato che su 20 mila embrioni che sono stati sottoposti a queste analisi, sono nati 521 bambini, cioè un successo – dico “successo” tra virgolette – della tecnica del 2,6 per cento, con un rischio di patologie indotte da alterata regolazione dei geni, che capita spesso in vitro; come errori diagnostici che sono anche nell’ordine del 15 per cento nei casi della diagnosi di patologie cromosomiche. Quindi, uno scenario ben diverso da quell’ottimismo che spesso la stampa riporta sui giornali e che induce le donne a vedere come un grande successo della tecnica questo tipo di diagnostica, senza sottolineare correttamente loro, invece, quelli che sono gli effetti negativi.
Fede e ragione in medicina
D. – Dove, invece, possono condurre in medicina fede e ragione, seguendo un itinerario che affianchi la speranza alla scienza?
R. – Io penso che se chi gestisce la scienza la gestisce nella maniera corretta e senza voler fare voli pindarici, penso che la scienza sia uno strumento fondamentale che può permettere di cambiare fortemente la storia e la qualità della vita delle persone. Il punto è che purtroppo ci si innamora di questo entusiasmo scientifico senza valutarlo criticamente. Quindi, il vero problema – secondo me – della scienza è quello di non avere assolutamente paura della scienza, ma interpretarla in maniera corretta e utilizzarla in maniera corretta.
Fondamenti imprescindibili
D. – Non solo da un punto di vista cristiano ma soprattutto etico: quali sono, secondo lei, i fondamenti irrinunciabili per una ricerca rispettosa dell’uomo e della vita?
R. – Io direi che il punto fondamentale è il seguente: il ricercatore deve essere sostanzialmente libero, ma quando l’oggetto della ricerca è l’uomo e la ricerca va a distruggere l’uomo o va a compromettere l’uomo, la ricerca va regolamentata. Quindi, non si può fare tutto quello che la ricerca consentirebbe oggi in teoria di fare.