Caritas italiana: crescono i nuovi poveri ma non mancano luci di speranza
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews: In sette mesi di pandemia, dal primo settembre 2020 al 31 marzo 2021, hanno chiesto aiuto 132 mila persone che, in precedenza, non si erano mai si erano rivolte alla rete Caritas. Walter Nanni dell’ufficio studi Caritas italiana: tra le problematiche ci sono soprattutto la perdita del lavoro e difficoltà abitative ma non mancano segnali incoraggianti, tra cui il ritorno di molti anziani al volontariato.
A distanza di un anno dal decreto legge varato in Italia dal Consiglio dei Ministri con una serie di misure per la ripartenza, la situazione socio-economica del Paese presenta ancora forti criticità. Nel quarto monitoraggio della Caritas italiana sull’emergenza legata alla pandemia, vengono rilevati bisogni, vulnerabilità. Dai dati forniti da 190 Caritas diocesane emergono fattori allarmanti ma anche evidenti segnali di ripresa. In sette mesi, dal primo settembre 2020 al 31 marzo 2021, le Caritas hanno assistito 544.775 persone. Quasi una persona su quattro, in totale più di 132 mila, è un “nuovo povero”, una persona che non si era mai rivolta, in precedenza, alla rete Caritas. Quasi tutte le Caritas diocesane interpellate evidenziano che, accanto a situazioni legate ai bisogni fondamentali della persona, tra i quali il lavoro e la casa, compaiono bisogni inerenti alla sfera formativa e al disagio psico-sociale.
Le risposte delle diocesi
Sul fronte delle risposte attivate dalle diocesi, si registrano attività di tipo formativo e orientativo accanto ai servizi relativi ad aiuti materiali. In particolare, 149 diocesi hanno attivato dei fondi specifici di sostegno economico alle famiglie in difficoltà. Sono inoltre 116 le diocesi che hanno attivato interventi specifici sul fronte del lavoro. Si tratta soprattutto di erogazione di borse lavoro, tirocini di inserimento lavorativo, percorsi formativi. Tra gli interventi nell’ambito educativo, molte diocesi hanno assicurato la distribuzione di tablet, pc e di strumenti informatici per famiglie meno abbienti. Da segnalare inoltre che 61 diocesi hanno attivato dei fondi diocesani di sostegno economico alle piccole imprese.
Insieme contro la crisi
Da sottolineare, ancora una volta, il grande contributo offerto complessivamente nel 2020 dagli oltre 93 mila volontari operanti nei 6.780 servizi della rete Caritas, che hanno saputo dare un segno tangibile della presenza fraterna della Chiesa. Si è anche rafforzata, ancor di più, la collaborazione intra ecclesiale con rapporti stabili tra le Caritas diocesane con realtà come le parrocchie, gli Scout, i Centri di Aiuto alla Vita e le Acli. Proprio la collaborazione e l’unità sono importanti vie di uscita dalla crisi. Solo lavorando uniti, “a tutti i livelli della società”, come sottolinea Papa Francesco, si può infatti “superare non solo il coronavirus, ma anche tanti altri virus che da tempo infettano l’umanità”, tra cui “il virus dell’indifferenza, che nasce dall’egoismo e genera ingiustizia sociale”.
Dalla crisi alla speranza
Il quarto monitoraggio Caritas sull’emergenza pandemia è una fotografia sulla crisi legata alla pandemia. Ma fa intravedere anche segnali di ripresa. È quanto sottolinea a Vatican News Walter Nanni, dell’ufficio studi di Caritas italiana, che indica anche una priorità: è importante che le risorse economiche messe in campo dal governo e dall’Unione Europea non siano distribuite un po’ a pioggia e in modo eccessivamente centralistico.
Emergono dati che ricostruiscono quest’anno di emergenza sanitaria: sono quasi 2 milioni le persone che, in quest’anno, si sono rivolte alla Caritas. E in particolare, in quest’anno di pandemia, si sono rivolte alla Caritas quasi cinquecentomila persone che noi abbiamo identificato come “nuovi poveri”.
Chi sono i nuovi poveri?
R. – Sono soprattutto italiani, quasi nel 60% dei casi. La pandemia ha colpito il tessuto socio economico anche dei nostri connazionali. Sono in uguale numero uomini e donne. Viene meno la prevalenza femminile che c’è, normalmente, nel mondo dell’ utenza Caritas. Un altro elemento importante è questo: mentre nella prima fase della pandemia, durante il lockdown dello scorso anno, erano soprattutto gli anziani a vivere difficoltà legate alla solitudine, all’isolamento e al relazionarsi con gli altri, nel corso di questi mesi si sono affacciati anche i giovani, con difficoltà abitative. A questo si aggiunge la povertà educativa di tante famiglie che non avevano i mezzi per avere un terzo o un quarto computer, spazi adeguati in casa o la possibilità di affiancare i figli nella didattica a distanza.
Quali sono i nuovi bisogni segnalati dai Centri di ascolto Caritas?
R. – Al primo posto, sia l’anno scorso sia adesso, c’è la perdita del lavoro e delle fonti di reddito. C’è quindi la necessità di trovare qualcosa di nuovo. Questo ha colpito soprattutto i lavoratori stagionali, i precari, gli autonomi, cioè quelle categorie che non hanno potuto usufruire della cassa integrazione. Al secondo posto, ci sono sicuramente le difficoltà abitative per la convivenza, per la povertà educativa, ma anche per le violenze domestiche. Violenze domestiche, povertà educativa e disagio psicologico e sociale mostrano famiglie che cominciano ad essere veramente in difficoltà. E per la Caritas si pongono questioni diverse nell’affrontare problemi su cui non eravamo abituati ad offrire una risposta.
Come si sono attivate le diocesi italiane per far fronte alle emergenze legate alla pandemia?
R. – Ci sono in Italia quasi 7000 servizi in qualche modo riconducibili alla rete Caritas che spaziano dai Centri di ascolto a quelli di distribuzione, alle mense e ai poliambulatori. Ci sono tante forme di attività. E ci sono 93.000 volontari che si sono attivati nel corso dei mesi con modalità diverse. All’inizio, l’anno scorso, con l’ascolto a distanza o cercando di trovare soluzioni alternative alla presa in carico. Ultimamente, c’è un ritorno a modalità più tradizionali, ma l’aspetto importante è la collaborazione: il 97% delle Caritas ha avuto rapporti stabili con le parrocchie, il 60% con gruppi di volontariato, con gli scout. Ma anche con i comuni e con le istituzioni locali c’è stata una forte collaborazione. Questo significa, nell’ottica e nello spirito di Papa Francesco, che nessuno si salva da solo.
Si è dunque vissuto, anche da un punto di vista socio-economico, un periodo critico a causa della pandemia. Si cominciano ora ad intravedere dei raggi di luce, grazie alla campagna di vaccinazione e ad una fase di riapertura di varie attività economiche. Come la Caritas accompagna questo tempo di rinascita?
R. – Stiamo cominciando di nuovo a valutare le misure istituzionali, come ad esempio il piano nazionale di difesa e resilienza che mette in campo tantissime risorse nuove su cui si spera ci sia anche un’attivazione di maggiori collaborazioni e di governance con le realtà locali. Si affacciano nuove forme di volontariato e, di nuovo, degli anziani che si erano allontanati. Gli anziani colpiti dall’emergenza si erano allontanati come volontari. Il ritorno di questo volontariato, anche in questo senso, è una nuova speranza. Vuol dire che c’è pian piano una ripresa. Sicuramente ci sono segnali di apertura e segnali in cui si comincia di nuovo a lavorare sul territorio per delle prospettive. L’importante è che le tante risorse messe in campo dal governo e dall’Unione Europea vengano poi attivate anche attraverso la collaborazione con gli attori della società civile.
Quale è, nello specifico, l’appello di Caritas al governo italiano?
R. – Quello di fare in modo che questa grande quantità di risorse economiche non sia distribuita un po’ a pioggia e in modo eccessivamente centralistico, attraverso forme di impiego decise in modo unilaterale. Ma ci sia, sempre di più, il coinvolgimento di soggetti del territorio un po’ come nella tradizione degli interventi sociali.