45 anni fa il terremoto del Friuli: dopo la catastrofe, la rinascita

Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews: La macchina del tempo di “Doppio Click”, programma della Radio Vaticana, torna al 1976 quando l’Italia settentrionale è devastata da un terribile sisma. Tre giorni dopo quella tragedia, Paolo VI esorta a “far scaturire energie positive di bene dalla sventura”. Scatta subito un piano di ricostruzione, reso possibile da quella che Giovanni Paolo II definisce la “nota intraprendenza e tenacia delle popolazioni friulane”.

Sono le ore 21 del 6 maggio del 1976. La terra in Friuli Venezia Giulia trema per 57 secondi. In pochi istanti, viene distrutto il profilo secolare di interi paesi. L’area colpita si estende per oltre 5.725 chilometri quadrati. Sono coinvolti 137 Comuni, tra i quali 98 in provincia di Udine. I morti sono 989 e gli sfollati più di 80 mila. Circa 15.000 lavoratori perdono il posto di lavoro a causa dei danni e dei crolli registrati nelle fabbriche. Nel giro di poche ore si mette in moto una imponente macchina della solidarietà. Migliaia di persone, civili e militari, cercano disperatamente segni di vita tra le macerie. A settembre nuove forti scosse fanno crollare quello che era rimasto in piedi dopo il sisma di maggio. Ma oltre alla potenza distruttiva dei terremoti si assiste ad un’altra forza potente: quella della ricostruzione. Gli alpini e numerosi altri volontari riparano migliaia di edifici. L’allora arcivescovo di Udine, monsignor Alfredo Battisti, riassume con queste parole il pensiero della Chiesa locale: “Vanno riparate prima le fabbriche, poi le case e poi le chiese”. All’indomani del terremoto del 1976 nasce la Caritas Diocesana di Udine per coordinare i numerosi volontari arrivati in Friuli da tutta Italia, e non solo, a sostegno della popolazione locale.

Terremoto del Friuli (maggio 1976)

Il dolore di Paolo VI

Tre giorni dopo la scossa del 6 maggio, Paolo VI al Regina Caeli esprime il proprio dolore”. “Sentiamoci uniti – afferma il Pontefice – a quanti sono nella sventura, nel dolore, nell’indigenza, nella necessità”.

Il nostro cuore è come un sismografo, nel quale si ripercuotono tutte le vibrazioni dell’umana passione. Ma questa della nostra Carnia ci è ora più vicina, e perciò più sensibile; è il nostro «prossimo», che piange. Ebbene piangiamo insieme! Cominciamo così a scoprire qualche bene, e non mediocre, sia anche nel male che ci colpisce. Il primo bene è la solidarietà; il dolore si fa comunitario, e nel nostro abituale disinteresse, e nelle nostre contese egoiste ci fa sperimentare uno sconosciuto amore. Ci sentiamo fratelli, diventiamo cristiani, comprendiamo gli altri, esprimiamo finalmente l’amore disinteressato, solidale e sociale. E poi impariamo a «vincere il male nel bene» (Rom. 12, 21), cioè a far scaturire energie positive di bene dalla stessa sventura che ci affligge: «quando sono infermo», diceva l’Apostolo, «allora divento forte» (2 Cor. 12, 10). Parola degna per quella gente forte e buona, ora percossa dall’immane sciagura micidiale e devastatrice del terremoto; e degna altresì del nostro Popolo e della nostra civiltà cristiana, della nostra Gioventù specialmente, che conosce la prodigiosa fecondità del sacrificio, l’austera bellezza del dolore idealizzato. Oh! noi non vogliamo dire di più davanti ai lutti e alle rovine dalle dimensioni tragiche, che sembrano superare ogni misura e rifiutare ogni conforto. Vogliamo comprendere e raccogliere in silenzio riverente il grido ineffabile di questa acerbissima pena. Ma una parola non possiamo tacere per i cuori forti, per gli animi buoni: niente disperazione! Niente cecità del fato! La nostra incapacità a dare una spiegazione, che rientri negli schemi abituali della nostra breve e miope logica, non annulla la nostra superiore fiducia nella misteriosa, ma sempre provvida e paterna presenza della bontà divina, che sa risolvere a nostro vantaggio anche le più gravi e incomprensibili sciagure.

Gemona del Friuli, paese simbolo della ricostruzione dopo il terremoto

La ricostruzione

Due giorni dopo la scossa del 6 maggio del 1976, il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia mette a disposizione 10 miliardi di lire per la ricostruzione. Nel corso degli anni, il processo di rinascita avviato in Friuli diventa un modello di successo. Già dieci anni dopo il sisma, gran parte della riedificazione viene portata a termine. Il “modello Friuli” è un esempio di responsabile ricostruzione territoriale. Ricordando una così ampia opera, Papa Giovanni Paolo II il 26 ottobre del 1996 rivolge queste parole a pellegrini provenienti da Udine.

Il ricordo del terribile evento che colpì il Friuli nel 1976, mentre induce a pensare con affetto e cristiana speranza alle vittime di quel luttuoso evento, invita al tempo stesso a ringraziare il Signore per la felice ricostruzione, resa possibile soprattutto dalla nota intraprendenza e tenacia delle popolazioni friulane. 

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