“Tutto il mondo fuori”, la vita dentro e oltre il carcere

Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews. Il documentario “Tutto il mondo fuori”, questa sera in prima televisiva assoluta sul canale “Nove”, è un viaggio nel cuore della comunità del carcere “Due Palazzi” di Padova. Intervista con il regista Ignazio Oliva.

È un itinerario tra storie di sofferenza e pentimento, un racconto che traduce in immagini la quotidianità del carcere. Ma anche una densa narrazione che, attraverso il riconoscimento degli errori compiuti, segue un tracciato di vita scandito anche dal lavoro, visto come veicolo di riscatto verso un futuro colmo di speranza. Si snoda attraverso queste direttrici il documentario “Tutto il mondo fuori” diretto dal regista Ignazio Oliva e scritto con la collaborazione di monsignor Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. L’opera si ispira all’articolo 27 della Costituzione italiana, che evidenzia la funzione rieducativa dell’istituzione carceraria.

“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. (Articolo 27 della Costituzione italiana)”.

Un viaggio tra difficoltà e speranze

Il documentario, una produzione dell’Officina della Comunicazione, è stato realizzato grazie alla stretta collaborazione con la direzione del carcere “Due Palazzi” di Padova. Disponibile anche sulla piattaforma Dplay Plus, sarà trasmesso in prima televisiva assoluta questa sera alle 21.25 sul canale “Nove”.

In questo viaggio all’interno dell’istituto penitenziario, lo spettatore è accompagnato dal cappellano don Marco Pozza. Dai racconti e dalle testimonianze del direttore, degli agenti di polizia penitenziaria e dei detenuti emergono difficoltà, sfide e speranze. La comunità protagonista del documentario è la medesima che, per volere di Papa Francesco, ha composto le meditazioni della via Crucis del Venerdì Santo di quest’anno. Le riprese sono terminate poco prima del lockdown imposto dall’emergenza sanitaria. Come è nata l’dea del documentario “Tutto il mondo fuori”? Risponde Ignazio Oliva, regista di “Tutto il mondo fuori”:

R. – L’idea è nata dopo un evento a cui ho partecipato nel carcere Regina Caeli. Sono andato in quel carcere a leggere dei discorsi pronunciati da Papa Francesco ai detenuti. È stato un incontro molto toccante. Poi sono rimasto a chiacchierare con i detenuti per un paio d’ore. Lì è nata la voglia di fare qualcosa, di raccontare un po’ queste storie di queste persone. È nata così l’idea.

Questa idea poi si è concretizzata. Quale è l’obiettivo del documentario “Tutto il mondo fuori” e cosa ci racconta?

R. – Studiando la situazione legata al mondo delle carceri, mi hanno colpito dei dati del ministero e non solo. Da questi dati si evince un quadro incoraggiante per chi, in qualche modo, fa dei lavori in carcere o fuori, grazie a pene alternative. Quando esce, la recidiva diminuisce del 70 %. La mia idea è quella di raccontare degli esempi positivi per far sì che possano essere emulati, non solo dai detenuti ma anche da altri istituti penitenziari in modo che possano mettere a disposizione queste opportunità di lavoro. Nel documentario viene raccontata la storia di tre detenuti che stanno compiendo un percorso di rieducazione, attraverso il lavoro, grazie alla disponibilità del carcere di Padova. Questo istituto fornisce a cooperative locali la possibilità di offrire una serie di lavori. Questo è un po’ il succo del lavoro: raccontare come le pene alternative oppure il lavoro in carcere possano aiutare il detenuto ad una rieducazione partendo sempre da un esame di coscienza e quindi da un pentimento. Quello è il punto di partenza rispetto al reato commesso.

Sono storie che intrecciano sofferenze ma anche momenti di riscatto. Quali speranze possiamo ricavare vedendo queste immagini, vedendo il documentario “Tutto il mondo fuori”?

R.- Le speranze sono molteplici. Innanzitutto, sono legate al detenuto stesso, il primo al quale si offre una possibilità di redimersi e di ricominciare in modo legale e civile attraverso un lavoro. La seconda questione è un auspicio: mi auguro che chi opera in questo settore delle carceri, possa in qualche modo emulare questi effetti positivi. A me piace raccontare di esempi positivi anche se sono pochi: la maggior parte dei detenuti non riesce a fare questi percorsi. Ma questi esempi positivi sono quelli da emulare in modo che anche in altri casi, attraverso le cooperative e le istituzioni, si possa dare la possibilità di lavorare in carcere. La terza questione, molto importante per me, è che il mondo fuori dal carcere non veda il detenuto come qualcuno da chiudere in cella buttando la chiave. Si deve accettare e dare la possibilità a chi ha sbagliato di ricominciare un’altra vita e in un altro modo. Questi sono i tre pilastri.

Possiamo dire dunque che il documentario “Tutto il mondo fuori” è un’istantanea sulla vita dentro il carcere, ma soprattutto oltre l’istituto penitenziario…

R. – Si e con una prospettiva di vita diversa. Ci sono degli esempi positivi, ma purtroppo sono pochi. La mia idea è quella di raccontarli perché possano essere emulati sia dal detenuto sia dalle istituzioni. E possano essere conosciuti dalle persone che conoscono poco il carcere.

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