I Papi e il Natale: le loro voci da Francesco a Pio XII
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews – In questo giorno di vigilia ricordiamo alcune riflessioni dei Pontefici sul Natale: la via della fraternità raccomandata da Francesco, la luce di verità indicata da Benedetto XVI, il messaggio di Giovanni Paolo II rivolto ad ogni uomo, l’omelia pronunciata nel 1971 dall’allora patriarca di Venezia Albino Luciani a Porto Marghera, la Messa di Paolo VI a Taranto, l’impronta del Concilio Ecumenico Vaticano II rievocata da Giovanni XXIII, le parole di Pio XII durante la guerra.
Il Natale è gioia, luce, pace. Un tempo in cui si rinnova l’augurio rivolto ad ogni popolo, ad ogni uomo e donna. La nascita di Gesù, che giace in una mangiatoia, illumina il mondo e rinnova i cuori. I Pontefici hanno esortato a volgere lo sguardo verso questo Bambino, ad aprire vite e sogni alla vera speranza. Ascoltiamo le voci dei Papi e il loro augurio.
Guerre, carestie, calamità naturali, la questione dei migranti. Crisi superate, legate a specifici frangenti storici ed altre ancora presenti nello scacchiere internazionale. Sono questi alcuni dei drammatici scenari al centro dei messaggi “Urbi et Orbi” di Natale degli ultimi decenni. Ombre della storia tra cui si irradia la luce di un Bambino, nato per tutti. É Gesù il centro del Natale, il principe della pace. A lui i Pontefici affidano le speranze dell’umanità e del mondo.
Francesco: Gesù ci rivela il volto del Padre
“La nascita è sempre fonte di speranza, è vita che sboccia, è promessa di futuro”. Il 25 dicembre del 2020 Francesco, il Papa della misericordia ricorda che Gesù è “nato per noi”: “un noi senza confini, senza privilegi né esclusioni”.
Grazie a questo Bambino, tutti possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”, “Papà”. Gesù è l’Unigenito; nessun’altro conosce il Padre, se non Lui. Ma Lui è venuto nel mondo proprio per rivelarci il volto del Padre. E così, grazie a questo Bambino, tutti possiamo chiamarci ed essere realmente fratelli: di ogni continente, di qualsiasi lingua e cultura, con le nostre identità e diversità, eppure tutti fratelli e sorelle.
“Natale ci ricorda che Dio continua ad amare ogni uomo, anche il peggiore. A me, a te, a ciascuno di noi oggi dice: Ti amo e ti amerò sempre, sei prezioso ai miei occhi. (Papa Francesco, 24 dicembre 2019)”.
Grazie a questo Bambino, sottolinea dunque Francesco nel 2020 – in un periodo come quello attuale segnato dall’emergenza non solo sanitaria – “tutti possiamo chiamarci ed essere realmente fratelli”.
In questo momento storico, segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità. E Dio ce la offre donandoci il suo Figlio Gesù: non una fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti… No. Una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è mio fratello, è mia sorella. E questo vale anche nei rapporti tra i popoli e le nazioni: fratelli tutti!
Benedetto XVI: a Natale l’Onnipotente si fa bambino
Benedetto XVI si rivolge all’uomo del terzo millennio. Il Natale di Cristo, afferma il 25 dicembre del 2005 è l’evento di salvezza “capace di imprimere rinnovata speranza all’esistenza di ogni essere umano”.
A Natale l’Onnipotente si fa bambino e chiede aiuto e protezione. Il suo modo di essere Dio mette in crisi il nostro modo di essere uomini; il suo bussare alle nostre porte ci interpella, interpella la nostra libertà e ci chiede di rivedere il nostro rapporto con la vita e il nostro modo di concepirla. L’età moderna è spesso presentata come risveglio dal sonno della ragione, come il venire alla luce dell’umanità che emergerebbe da un periodo buio. Senza Cristo, però, la luce della ragione non basta a illuminare l’uomo e il mondo.
“Il Natale è un’opportunità privilegiata per meditare sul senso e sul valore della nostra esistenza. (Papa Benedetto XVI, udienza generale del 17 dicembre 2008)”.
“La luce di Betlemme – sottolinea Benedetto XVI nella Messa di Mezzanotte il 24 dicembre del 2005 – non si è mai più spenta”. “La luce è fonte di vita”.
Ma luce significa soprattutto conoscenza, significa verità in contrasto col buio della menzogna e dell’ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi, la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c’è amore, emerge una luce nel mondo; dove c’è odio, il mondo è nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme è apparsa la grande luce che il mondo attende. In quel Bimbo giacente nella stalla, Dio mostra la sua gloria – la gloria dell’amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell’amore.
Giovanni Paolo II: il Natale è la festa dell’uomo
Nel 1978, anno dell’elezione al soglio di Pietro, Papa Giovanni Paolo II sottolinea nel messaggio Urbi et Orbi che il “Natale è la festa dell’uomo”.
Questo messaggio lo rivolgo ad ogni uomo; all’uomo; all’uomo, nella sua umanità. Natale è la festa dell’uomo. Nasce l’Uomo. Uno dei miliardi di uomini che sono nati, nascono e nasceranno sulla terra. L’uomo, un elemento componente della grande statistica. Non a caso Gesù è venuto al mondo nel periodo del censimento; quando un imperatore romano voleva sapere quanti sudditi contasse il suo paese. L’uomo, oggetto del calcolo, considerato sotto la categoria della quantità; uno fra miliardi. E nello stesso tempo, uno, unico e irripetibile. Se noi celebriamo così solennemente la nascita di Gesù, lo facciamo per testimoniare che ogni uomo è qualcuno, unico e irripetibile.
“Il Natale è la festa dell’Amore divino: per amore egli ci ha creati, per amore ci ha redenti in Cristo e ci attende nel suo regno. (Papa Giovanni Paolo II, udienza generale del 19 dicembre 1990)”.
Il Natale è anche la festa della vicinanza, soprattutto con chi soffre. Nel messaggio Urbi et Orbi del 25 dicembre del 2000 Papa Wojtyła sottolinea che “dal presepe lo sguardo si allarga all’intera umanità”, soprattutto all’umanità ferita.
Bambini percossi, umiliati e abbandonati, donne violentate e sfruttate, giovani, adulti, anziani emarginati, interminabili teorie di esuli e di profughi, violenza e guerriglia in tanti angoli del pianeta… Si fa sempre più forte la tentazione di impadronirsi della morte procurandola in anticipo, quasi si fosse arbitri della vita propria o altrui. Siamo di fronte a sintomi allarmanti della ‘cultura della morte’, che costituiscono una seria minaccia per il futuro.
Giovanni Paolo I: omelia nel 1971 del patriarca di Venezia
Il 26 agosto 1978 il cardinale Albino Luciani viene eletto Papa e prende il nome di Giovanni Paolo I. Muore nella notte del 28 settembre. Il suo Pontificato è tra i più brevi della storia. Tra le sue omelie come patriarca di Venezia c’è quella del 22 dicembre del 1971. Monsignor Luciani celebra la Messa nei locali della mensa tra gli operai del Petrolchimico e della Chatillon di Porto Marghera. Il Signore, sottolinea in quell’occasione, “si è fatto piccolo, non solo per farsi nostro fratello, ma perché noi ci sentissimo più fratelli tra di noi”. “Essere fratelli è una parola chiave: io sono fratello non solo di questo o di quell’altro”. “Cerchiamo di passare il Natale in questo spirito di fraternità verso tutti”. Nell’omelia, registrata e trascritta da padre Michele Maria Rampo, all’epoca cappellano del lavoro a Porto Marghera, monsignor Luciani spiega che Dio “si è fatto uno di noi perché gli premeva soprattutto la nostra pace dell’anima”: “Gesù è venuto a liberarci, a darci la tranquillità dell’anima”.
“Ecco il presepio, ecco la stalla, ecco la pace! Padrone del mondo, ti sei degnato di farti così piccolo per noi altri, nostro fratello, uno di noi!. (Albino Luciani, 22 dicembre 1971)”.
Durante la Messa celebrata il 22 settembre del 1971, monsignor Luciani ricorda inoltre che si deve avere “cura di pensare agli altri, magari in cose piccole”. La carità comincia da quelli che sono vicini: “i nostri vicini, il nostro amico, quel povero, mia nonna”. “Il tuo bambino – sottolinea l’allora patriarca di Venezia rivolgendosi agli operai – è venuto a casa, ti ha portato la pagella con sei 8: bei voti. Fagli un complimento. Ditegli: sono contento”. “Il Natale – afferma infine monsignor Luciani – dovrebbe proprio risvegliarci a questo amore, amore di cose piccole, magari a quelli che sono vicini a noi”. “E quella che sembra una vita dura alle volte può diventare una vita molto più lieta, se è rallegrata dal sorriso della carità cristiana e dall’amore sincero”.
Paolo VI: prevarrà la civiltà dell’amore
Nel 1975 il mondo è ancora scosso da una radicale contrapposizione ideologica. Nel giorno di Natale, in occasione del solenne rito di chiusura di quell’Anno Santo, Papa Paolo VI afferma che il cammino dell’uomo è scandito da una invocazione: “Vieni, o Signore Gesù”.
Non l’odio, non la contesa, non l’avarizia sarà la sua dialettica, ma l’amore, l’amore generatore d’amore, l’amore dell’uomo per l’uomo, non per alcun provvisorio ed equivoco interesse, o per alcuna amara e mal tollerata condiscendenza, ma per l’amore a Te; a Te, o Cristo scoperto nella sofferenza e nel bisogno di ogni nostro simile. La civiltà dell’amore prevarrà nell’affanno delle implacabili lotte sociali, e darà al mondo la sognata trasfigurazione dell’umanità finalmente cristiana.
“L’odierna solennità ci ricorda il Mistero della Incarnazione. È una realtà che non ha l’eguale, sbalordisce e sempre ci esalta: È il Signore, è Dio fatto Uomo. (Papa Paolo Vi, 25 dicembre 1969)”.
Nel Natale del 1968 Papa Montini celebra la Messa di Natale nello stabilimento Italsider a Taranto. “Siamo qua venuti per voi, Lavoratori! Per voi Lavoratori di questo nuovo e colossale centro siderurgico”.
Lavoratori, che Ci ascoltate: Gesù, il Cristo, è per voi! Ricordate e meditate: il Cristo del Vangelo, quello che la Chiesa cattolica vi presenta e vi offre, è per voi! Questa notte è con voi! Non abbiate timore che questa presenza, questa alleanza, vissuta nella fede e nel costume, voglia mutare l’aspetto, la finalità, l’ordinamento d’un’impresa come questa, e d’altre simili; voglia cioè, come volgarmente si dice, clericalizzare il lavoro moderno dell’uomo, ovvero frenare la sua espansione, opporre la finalità religiosa della vita allo sviluppo dell’attività umana, il Vangelo al progresso scientifico, tecnico, economico e sociale.
Giovanni XXIII: il Natale e il cammino del Concilio Vaticano II
Il Natale del 1962 si lega ad un evento centrale nella storia della Chiesa. Lo ricorda Papa Giovanni XXIII nel radiomessaggio ai fedeli e ai popoli di tutto il mondo.
Il Natale di quest’anno reca l’impronta del Concilio Ecumenico, grazie al Signore, già così bene avviato. Dall’11 ottobre infatti all’8 dicembre, si rincorsero qui in Roma due mesi di intensa commozione religiosa. Orizzonti miti e luminosi si videro dischiusi sopra le teste di tutti i credenti in Cristo, sparsi nel mondo, come un invito alle anime più lontane, a volgere l’attenzione al richiamo del Figlio di Dio fatto uomo, al Nato di Betlemme, Redentore di tutti gli uomini e Maestro di tutte le genti. Certo, nessuna solennità della Santa Chiesa potrebbe meglio convenire alla celebrazione del Concilio, e a segnarne i contorni, come il Natale di Gesù, annunziato in gloria sublime di tutti i cieli, e in letizia rinnovantesi di umana fraternità per quanti furono creati e si succederanno abitatori della terra.
“A Betlemme tutti devono trovare il loro posto. In prima fila i cattolici. La Chiesa, oggi specialmente, vuole vederli impegnati in uno sforzo di assimilazione del suo messaggio di pace, che è invito ad un orientamento integrale verso i dettami della legge divina che postula l’adesione risoluta di tutti, fino al sacrificio. (Giovanni XXIII, radiomessaggio in occasione del Natale del 1959)”.
Nel 1960 il mondo è diviso e minacciato dai venti della “guerra fredda”. In questo tempo segnato da delicati equilibri geopolitici Papa Roncalli esorta “ciascuno a prendere coscienza sempre più matura dei suoi propri compiti e delle sue responsabilità”.
Il silenzio della notte santa e la contemplazione di quella scena di pace sono eloquentissimi. Volgiamoci a Betlemme con occhio puro, con cuore aperto. É presso questo Verbo di Dio, fatto uomo per noi, presso questa benignitas et humanitas Salvatoris nostri Dei, che amiamo ancora riguardare con grande rispetto ed affezione specialmente ai più alti rappresentanti dei pubblici poteri, variamente distribuiti sui diversi e più importanti punti del globo, e ai responsabili della educazione delle giovani generazioni, della pubblica opinione, incoraggiando ciascuno a prendere coscienza sempre più matura dei suoi propri compiti e delle sue responsabilità, a tenersi al posto suo con sincerità e coraggio.
Pio XII: il messaggio di Gesù risuona in mezzo alle tenebre
Nel 1942, in un tempo scosso dalla seconda guerra mondiale, Papa Pio XII sottolinea nel radiomessaggio alla vigilia del Natale che il messaggio del Salvatore “illumina con lo splendore di celestiali verità un mondo oscurato da tragici errori”.
Con sempre nuova freschezza di letizia e di pietà, diletti figli dell’universo intero, ogni anno al ricorrere del Santo Natale, risuona dal presepe di Betlemme all’orecchio dei cristiani, ripercuotendosi dolcemente nei loro cuori, il messaggio di Gesù, Luce in mezzo alle tenebre; un messaggio che illumina con lo splendore di celestiali verità un mondo oscurato da tragici errori, infonde una gioia esuberante e fiduciosa ad un’umanità, angosciata da profonda e amara tristezza, proclama la libertà ai figli d’Adamo, costretti nelle catene del peccato e della colpa, promette misericordia, amore, pace alle schiere infinite dei sofferenti e tribolati, che vedono scomparsa la loro felicità e spezzate le loro energie nella bufera di lotta e di odio dei nostri giorni burrascosi.
“Ogni anno una così soave festività Ci offre l’occasione di esprimere a tutti i fedeli del mondo il Nostro paterno saluto col sentimento profondo del vincolo misterioso, che, ai piedi della culla del neonato Salvatore, unisce tra loro nella fede, nella speranza e nell’amore i redenti da Cristo. (Papa Pio XII, radiomessaggio in occasione del Natale 1951)”.
Nel radiomessaggio alla vigilia del Natale del 1942, Papa Pacelli sottolinea anche che devono “riunirsi i cuori di tutti i magnanimi e gli onesti nel voto solenne di non darsi riposo, finché in tutti i popoli e le nazioni della terra divenga legione la schiera di coloro, che anelano al servizio della persona”. Il Pontefice ricorda gli orrori della guerra e le migliaia di centinaia di persone destinate alla morte, “talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe”.
Questo voto l’umanità lo deve agl’innumerevoli morti, che giacciono sepolti nei campi di guerra: il sacrificio della loro vita nel compimento del loro dovere è l’olocausto per un nuovo migliore ordine sociale. Questo voto l’umanità lo deve all’infinita dolente schiera di madri, di vedove e di orfani, che si son veduti strappare la luce, il conforto e il sostegno della loro vita. Questo voto l’umanità lo deve a quegl’innumerevoli esuli che l’uragano della guerra ha spiantati dalla loro patria e dispersi in terra straniera; i quali potrebbero far lamento col Profeta: «Hereditas nostra versa est ad alienos, domus nostrae ad extraneos» (Ier, Lam. 5,2). Questo voto l’umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento.
Luce di Speranza
In occasione del Natale, i Pontefici hanno anche ricordato nei loro messaggi e nelle loro omelie le molteplici ferite che scuotono e hanno scosso la storia di nazioni e Paesi. Hanno lanciato appelli per la pace in terre martoriate di ogni continente, per le sofferenze di popoli provocate da violenze, disastri naturali. Anche oggi il messaggio di Gesù Bambino si riverbera in un mondo segnato da profondi squilibri, acuiti dalla pandemia. Ma nonostante le ombre che oscurano lo scorrere della storia dell’umanità, la luce di Betlemme non si spegne mai. Il Natale illumina il mondo, i popoli, le famiglie. “Gesù – ricorda Papa Francesco nel messaggio Urbi et Orbi il Natale 2020 – è nato in una stalla, ma avvolto dall’amore della Vergine Maria e di San Giuseppe. Nascendo nella carne, il Figlio di Dio ha consacrato l’amore familiare. Il mio pensiero va in questo momento alle famiglie: a quelle che oggi non possono ricongiungersi, come pure a quelle che sono costrette a stare in casa. Per tutti il Natale sia l’occasione di riscoprire la famiglia come culla di vita e di fede; luogo di amore accogliente, di dialogo, di perdono, di solidarietà fraterna e di gioia condivisa, sorgente di pace per tutta l’umanità”.