Il vescovo di Macapà (Brasile), mons. Conti: al Sinodo porto la voce della mia gente

© Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews  L’assemblea sinodale è soprattutto un momento di ascolto e di confronto. Monsignor Piergiuseppe Conti, vescovo di Macapà, in Brasile, sottolinea che una importante dimensione pastorale nella sua diocesi è quella “urbana”. Sono oltre 500 mila le persone che vivono nella città di Macapà.

Macapà è la capitale dello Stato di Amapà, in Brasile. Affacciata sul Rio delle Amazzoni, questa città è attraversata dalla linea dell’equatore. Nel punto esatto è stato costruito un grande obelisco per ricordare il punto in cui si intersecano l’emisfero meridionale e quello settentrionale. La città non è lontana dal confine, a nord, con la Guyana Francese dove abitano diverse popolazioni indigene. Sulla realtà sociale e pastorale della diocesi di Macapà si sofferma il vescovo, monsignor Piergiuseppe Conti:

Oggi Macapá conta mezzo milione di abitanti. Questo è importante per capire anche la realtà dell’Amazzonia. C’è la grande foresta, con popoli che vivono sulle rive dei fiumi, ma la popolazione si concentra molto anche nelle grandi città. Per questo, una sfida importante è quella della pastorale urbana, nelle città. La concentrazione dei sacerdoti è in città, per rispondere a queste necessità più residenziali. Differenti sono le parrocchie dell’interno, che hanno molte aree agricole e anche alcuni villaggi di popoli indigeni, soprattutto a Nord, al confine tra Brasile e Guayana Francese, nello Stato dell’Amapá. Qui ci sono i popoli indigeni che transitano, tra l’altro, tra un confine e l’altro e questo è molto bello. Ma si tratta di difficoltà pastorali perché, soprattutto nell’interno, dobbiamo riconoscere che i sacerdoti possono andare soltanto alcune volte all’anno. Ad esempio sulle isole, in una parrocchia con più di cento comunità, i sacerdoti celebrano due messe all’anno.

Il popolo e l’Eucarestia

In altri posti la situazione è migliore, ma la frequenza dell’Eucarestia è molto limitata. Da qui nasce il problema di come rispondere alla necessità del nostro popolo di avere l’Eucarestia. E questo, ricordando anche l’avanzamento delle “sette pentecostali”, dei gruppi che costruiscono queste chiese anche in riva ai fiumi, nelle isole, nell’interno, in mezzo alla campagna. E c’è il pastore che abita là. Quindi noi abbiamo questo problema che bisogna ricordare: i sacerdoti vanno, fanno la formazione oltre a portare i Sacramenti e lasciano gli animatori di comunità. Ma abbiamo bisogno – ed è ciò su cui stiamo riflettendo anche qui al Sinodo – di avere ministeri, persone a servizio, che siano riconosciute con una certa “autorità”, che siano quindi rappresentanti della Chiesa con la possibilità di offrire al popolo ciò che è necessario per la vita sacramentale.

Monsignor Piergiuseppe Conti

Quali voci porta al Sinodo? Cosa le hanno detto i rappresentanti delle sue comunità, delle comunità indigene?

R. – Le persone mi hanno detto di dire questo: non si deve distruggere la foresta dell’Amazzonia! Dobbiamo avere l’acqua pulita, i pesci nei fiumi, i frutti della foresta, i frutti del campo coltivato … Tutto questo può diventare fonte di sostentamento in modo che l’Amazzonia possa continuare ad essere un giardino che ci parla non solo di Dio, ma anche dell’uomo che vive pacificamente, usufruendo del dono che Dio ci ha dato: questa natura meravigliosa che è l’Amazzonia.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *