Card. Parolin: in Siria e Iraq ideologia Isis non scomparsa

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© Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Se militarmente in Iraq e in Siria il cosiddetto Stato islamico è stato sconfitto, “rimane il fatto che la sua ideologia è lungi dall’essere scomparsa”. E’ quanto ha affermato il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, in occasione dell’apertura, all’Urbaniana, della riunione sulla crisi umanitaria irachena e siriana.

Intervenendo all’incontro sulla crisi umanitaria in Siria e in Iraq, il cardinale Pietro Parolin ha ricordato che in questi Paesi “si è assistito alla sconfitta militare del cosiddetto Stato islamico”, anche se gruppi isolati “permangono o continuano ad avere il controllo di alcune sacche di territorio”. La Santa Sede- ha osservato – continua a richiamare “i diversi attori politici sulla necessità di trovare una soluzione globale ai problemi del Medio oriente, con particolare attenzione a garantire la presenza dei cristiani e delle varie minoranze nelle loro terre di origine”. Cresce intanto l’attesa per l’incontro, domani, di Papa Francesco con i partecipanti alla riunione promossa dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Dialogo e negoziato

A margine della riunione, il cardinale Parolin ha anche detto che “il Papa continuerà a ripetere i suoi appelli perché noi siamo convinti che solo se si sceglie la strada del dialogo e del negoziato si potrà arrivare a una soluzione pacifica e duratura”. “La situazione in Siria dopo tanti anni di guerra – ha aggiunto il porporato – è così deteriorata che non è facile ricominciare ma ci sono anche le premesse positive e queste vanno valorizzate in vista di una soluzione negoziata e pacifica e di una ricostruzione”.

Gravi rischi in Siria

Durante la riunione, il segretario di Stato ha poi spiegato che “in Siria si assiste ancora ad un complesso processo politico-militare, i cui esiti rimangono ancora incerti”. “Siamo stati testimoni – ha sottolineato – di violenze inaudite e di una crisi umanitaria senza precedenti”. “La Santa Sede continua ad essere gravemente preoccupata per l’aumento della tensione tra gli attori regionali e internazionali che hanno fatto della Siria territorio di scontro di una guerra per procura”. “In assenza di prospettive di pace e di speranza per il futuro, in assenza di un processo di giustizia e riconciliazione, in assenza di uno sforzo di rimarginazione delle ferite che coinvolga tutte le componenti delle rispettive società, si rischia la riattivazione prima o poi del fuoco che cova sotto le ceneri”.

Luci e ombre in Iraq

In Iraq, ha sottolineato il porporato, è stato possibile avviare “il processo di ricostruzione materiale dei luoghi distrutti, in particolare dei villaggi cristiani della Piana di Ninive, e il progressivo e lento rientro dei cristiani nelle loro case”.  Purtroppo – ha osservato il cardinale Parolin – le tensioni tra il governo centrale di Baghdad e il governo regionale del Kurdistan “continuano ad avere degli effetti sulla normalizzazione della vita delle comunità cristiane con forti preoccupazioni per il futuro e per il pericolo di cambiamenti nell’assetto demografico di quel territorio, culla del cristianesimo in Iraq”.

I dati della crisi irachena e siriana

Il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha ricordato gli allarmanti dati che riguardano la crisi siriana e irachena. “A più di sette anni dall’inizio del conflitto in Siria – ha detto il porporato – le Nazioni Unite stimano più di 13 milioni di persone in stato di necessità in Siria, di cui più di 5 milioni di bambini, e quasi 9 milioni in Iraq, di cui più di 4 milioni di bambini. Più di 5.6 milioni sono i rifugiati siriani registrati nei paesi limitrofi, in particolare in Turchia, Libano e Giordania, mentre 6 milioni sono gli sfollati interni in Siria e 2 milioni in Iraq”. Sono dati – ha aggiunto il cardinale Turkson – che “mostrano quanto lavoro sia ancora necessario per aiutare le vittime della crisi. “Per questo la Chiesa nonostante la crisi prolungata – ha concluso il porporato – mantiene un impegno importante e capillare”.

Il nunzio in Iraq: i cristiani iracheni sostenuti dalla fede

Il processo di ricostruzione, seppur lentamente, in Siria e in Iraq è già iniziato. In quest’ultimo Paese, una ulteriore speranza è alimentata anche dal ritorno dei cristiani nei loro villaggi nella piana di Ninive. Il nunzio apostolico in Iraq e in Giordania, mons. Alberto Ortega Martín, sottolinea a Vatican News che queste persone sono sostenute dalla fede. “La testimonianza di questi cristiani iracheni è un tesoro per tutta la Chiesa”. “Noi possiamo imparare da questa fede”. Nell’ultimo anno la situazione in Iraq è migliorata. Una visita di Papa Francesco nel Paese – ha poi affermato il presule – sarebbe un grande sostegno per la Chiesa e per la pace in Medio Oriente.

R. – Grazie a Dio la situazione in Iraq è migliorata, soprattutto a partire dall’anno scorso, dal momento in cui è stata dichiarata la vittoria militare contro il cosiddetto Stato islamico. Molti cristiani stanno rientrando nei loro villaggi di origine e questo è un fatto che incoraggia tutti e che ci dà grande speranza: ad esempio nella città di Qaraqosh, la principale città cristiana in Iraq, più di 5600 famiglie sono già rientrate.  E anche in altri paesini e villaggi ci sono altre famiglie che ora sono rientrate. In ogni caso, si tratta di quasi la metà delle famiglie che c’erano prima. Questo è un dato molto positivo. C’è tanto da fare, le condizioni sono ancora un po’ precarie, ma è molto incoraggiante il fatto che siano rientrate.

Come la Chiesa accompagna e favorisce questo ritorno così importante e vitale anche per il futuro dell’Iraq?

R. – Questa è certamente una buona notizia non solo per la Chiesa ma per la società intera, dal momento che i cristiani sono chiamati a svolgere un ruolo di grande importanza come artefici di pace, di riconciliazione, e anche di sviluppo. La Chiesa cerca di aiutarli anche materialmente e di sostenerli spiritualmente. Ed è molto bello il fatto che sia la fede a muovere queste persone: per la fede molti hanno perso tutto, e per la fede adesso rientrano anche se non hanno tutte le garanzie. Questo ritorno è un diritto. E’ un diritto che chi è stato cacciato via per la fede possa rientrare nei villaggi di origine.

Molte di queste persone sono passate anche attraverso l’inferno della persecuzione. Però la fede tocca veramente i cuori e non svanisce mai…

R. – Per questo io dico sempre che la testimonianza di questi cristiani iracheni è un tesoro per tutta la Chiesa. Ci hanno testimoniato il valore della fede, il valore del Signore per il quale hanno perso tutto. E noi possiamo imparare da questa fede. Una fede che adesso li sta incoraggiando a rientrare e a continuare a costruire la società insieme con tutti i loro fratelli dei diversi gruppi.

Queste persone che rientrano nelle loro case dopo aver sofferto tanto sentono anche la vicinanza della Chiesa universale, del Papa, del Vicario di Cristo…

R. – Sì, le parole del Papa – in un Angelus o al termine di un’Udienza – hanno effetti molto positivi. Anche il fatto per esempio che il Papa abbia di recente creato cardinale il Patriarca di Babilonia dei Caldei, il principale rappresentante della Chiesa in Iraq, è stato visto da tutti i cristiani iracheni come un sostegno per loro. E anche i musulmani erano contenti perché si tratta sempre di un gesto di vicinanza con i cristiani iracheni e con tutto il Paese che ha bisogno di più pace e stabilità.

Il Santo Padre ha più volte espresso il desiderio di visitare l’Iraq: ci sono speranze affinché, finalmente, in un tempo prossimo si possa svolgere questa visita?

R. – Vediamo un po’… Finora è stato molto difficile a causa della situazione: c’era lo Stato islamico, una situazione di guerra nel Paese. Adesso ci si potrebbe cominciare a pensare. Vediamo come sono le condizioni e anche l’agenda del Papa: il Papa ha un grande cuore, e ha espresso pubblicamente questo desiderio. Questo sarebbe, senz’altro, un grande sostegno per la Chiesa e per la pace in Medio Oriente.

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