Burkina Faso: attaccato un convoglio militare che scortava civili. Decine di vittime
Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews– L’offensiva jihadista è stata condotta nei pressi di Gorgadji, nel nord-est del Paese africano. Lo scorso mese di giugno Papa Francesco aveva detto: “l’Africa ha bisogno di pace e non di violenza”. Céline Camoin, giornalista della “Rivista Africa”: dopo il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, “molti si chiedono quale lezione si debba trarre per il Sahel”.
Il Burkina Faso continua ad essere scosso da azioni terroristiche. Un attacco contro un convoglio militare che scortava civili nel nord del Paese ha provocato, nella giornata del 18 agosto, la morte di almeno 47 persone, tra cui civili e soldati. Secondo fonti locali, sarebbero stati uccisi anche 58 uomini che facevano parte del gruppo terroristico responsabile dell’offensiva sferrata a 25 chilometri da Gorgadji. Altri miliziani estremisti sono rimasti feriti e sono fuggiti. Il presidente Roch Marc Christian Kaboré, ha indetto tre giorni di lutto nazionale.
Offensiva sferrata nella stagione delle piogge
La zona dove è avvenuto questo nuovo agguato si trova nella provincia di Séno, vicino al confine con Mali e Niger. Si tratta di una area più volte scossa da attacchi condotti da gruppi jihadisti. “Questi attentati – scrive il quotidiano “Aujourd’hui au Faso” – avvengono nel pieno della stagione delle piogge”. In passato, i gruppi terroristici limitavano le loro azioni durante questo periodo. “D’ora in poi – sottolinea il quotidiano – non si potrà più parlare di tregua pluviale”. Secondo la stampa locale, l’obiettivo dell’offensiva jihadista mira, in quest’ultimo periodo, ad impedire lo svolgimento del lavoro rurale. Il giornale “LeFaso” sottolinea, inoltre, che questi attacchi sono stati compiuti una settimana dopo la conclusione della prima sessione di un processo contro presunti terroristi, tra cui alcuni condannati a 20 anni di reclusione.
L’Africa ha bisogno di pace
Dal 2015 il Burkina Faso è colpito da azioni jihadiste, in particolare nelle regioni del nord e dell’est del Paese. Questi attacchi, spesso preceduti da imboscate, hanno complessivamente provocato oltre 1500 vittime e costretto oltre un milione e trecento mila persone a lasciare le loro case. In diverse occasioni gruppi armati hanno compito incursioni contro la popolazione civile gruppi armati. Nella notte tra il 4 e il 5 giugno, almeno 150 persone sono state massacrate nel villaggio di Solhan, nel nord-est del Burkina Faso. All’Angelus dello scorso 6 giugno, Papa Francesco aveva assicurato la propria preghiera per le vittime di questa strage. “Sono vicino ai familiari e all’intero popolo Burkinabé, che sta soffrendo molto a causa di questi ripetuti attacchi. L’Africa ha bisogno di pace e non di violenza”.
Un Paese ancora in lutto
Il Burkina Faso continua ad essere flagellato dalla piaga del terrorismo. In un comunicato pubblicato lo scorso 7 giugno dopo la strage nel villaggio di Solhan, i vescovi di Burkina Faso e Niger avevano posto una domanda: quando arriverà la fine del tunnel? “Lo spettro terrorista – avevano aggiunto – sta diventando sempre più minaccioso per una popolazione che è tuttavia circondata da basi militari, sia nazionali sia straniere”. Il 12 giugno migliaia di persone si erano radunate a Dori, nel nord del Burkina Faso, per denunciare “l’inerzia” delle autorità dopo il massacro di Solhan. Dopo quella strage, sono arrivate altre drammatiche offensive compiute da gruppi armati. L’ultima, condotta il 18 agosto, ha portato nuovo dolore e terrore. Ancora una volta, il Paese è in un lutto con la bandiera di nuovo a mezz’asta davanti alla sede del Parlamento.
Un Paese afflitto da povertà e terrorismo
La strage del 18 agosto è l’ennesima azione terroristica in Burkina Faso. “Non è rivelatrice della destabilizzazione, bensì dell’incapacità di rispondere in maniera adeguata ai terroristi” e a nemici che “non sempre hanno un nome e un volto”. È quanto sottolinea a Vatican News Céline Camoin, giornalista della “Rivista Africa”. Spesso questi attacchi non vengono rivendicati, “anche se si suppone siano riconducibili a gruppi jihadisti ben radicati in Mali”. L’esercito del Burkina Faso, sottolinea Céline Camoin, è “operativo e conduce azioni antiterrorismo” e il presidente Kaboré ha chiamato i civili ad aiutare i soldati in queste operazioni. Il Paese non era infatti preparato per rispondere alla violenza terroristica e i confini non erano protetti perché non ce ne era bisogno. Una grande sfida, per le autorità locali, è la gestione degli sfollati a causa del terrorismo. Sono oltre un milione e trecento mila. Una sfida che non si può affrontare senza l’aiuto della comunità internazionale. Il Burkina Faso, uno dei Paesi più poveri al mondo, “non ha trovato ancora una vera via di sviluppo, sebbene sia un produttore di cotone e oro”. La violenza terroristica, che si aggiunge alla pandemia, “avrà ripercussioni gravi” sui progressi che si stavano facendo, ad esempio nel campo dell’istruzione. Si prevede, inoltre, che aumenteranno le disuguaglianze tra ricchi e poveri. Proprio questo divario e l’aumento della povertà, aggiunge Céline Camoin, costituiscono “un terreno fertile per le organizzazioni terroristiche”.
Dopo l’Afghanistan, quale lezione trarre per il Sahel?
“Quello che sta accadendo in Burkina Faso, osserva Céline Camoin, è una estensione dell’impronta terroristica ormai ben presente nella regione del Sahel”. Gli attacchi terroristici più gravi contro civili e obiettivi militari si registrano nella zona compresa tra i confini di Burkina Faso, Mali e Niger. In Mali, in particolare, sono “attivi e ben radicati” gruppi armati legati all’Isis e ad Al Qaeda. In questo momento storico in cui l’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, “in molti si chiedono quale lezione si debba trarre per il Sahel, dove le forze francesi sono sul punto di essere riorganizzate, forse ridimensionate”. In Burkina Faso, ricorda infine Céline Camoin, sia i cristiani sia i musulmani sono vittime del terrorismo. La Chiesa, nel Paese, svolge anche un ruolo “di accompagnamento e di sostegno dei servizi sociali” e trasmette messaggi di pace esortando a costruire “ponti” percorrendo la via del dialogo.