Anziani, S. Egidio e Comunità Giovanni XXIII: si torni all’accoglienza in famiglia

Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews In rete oggi un webinar incentrato sul tema: “Senza anziani non c’è futuro”. Con noi Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità fondata da don Oreste Benzi, una delle organizzatrici dell’evento, per parlare di vicinanza, impegno e sostegno a quella parte della popolazione che è più fragile e vulnerabile.

Il dramma della pandemia ha fatto emergere, nella sua fase più acuta, le tragiche storie di molti anziani deceduti in Istituti e in Case di riposo, strutture dove non sempre è stato possibile evitare il contagio e la diffusione della malattia Covid-19. Per approfondire questa drammatica esperienza che ha colpito una popolazione fragile e vulnerabile, la Comunità di Sant’Egidio e l’Associazione Papa Giovanni XXIII promuovono il seminario “Senza anziani non c’è futuro”. L’appuntamento è per le ore 18, on line. Si può seguire il seminario sulla pagina Facebook della Comunità di Sant’Egidio e su quella della Associazione Papa Giovanni XXIII che trasmetterà l’evento anche sul proprio canale youtube .

Vite da accogliere

“Le drammatiche cifre delle morti in Istituto – si legge nell’appello lanciato dalla Comunità Sant’Egidio – fanno rabbrividire. Siamo preoccupati dalle tristi storie delle stragi di anziani. Sta prendendo piede l’idea che sia possibile sacrificare le loro vite in favore di altre – continua l’appello – e sta emergendo un modello pericoloso che privilegia una ‘sanità selettiva’, che considera residuale la vita degli anziani”. Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, sottolinea che la famiglia è l’ambito più idoneo nel quale gli anziani devono trovare accoglienza e amore:

R. – Abbiamo visto, purtroppo, una parte consistente della popolazione che ha veramente subito una moria, dovuta ovviamente alla pandemia. Ma certamente, anche nel nostro Paese, c’è una cultura che ormai prevede questa risposta assistenziale. Una risposta che ha anche molti punti positivi. Però, è una risposta di tipo istituzionale. Molti anziani oggi si sentono un ingombro e chiedono loro stessi di andare in queste case di riposo, in queste case di cura.

Quale è la proposta della Comunità Papa Giovanni XXIII per accogliere gli anziani?

R. – Noi riteniamo che bisogna ritornare ad una cultura dell’accoglienza in famiglia di questa parte preziosissima della nostra società. Gli anziani, come dice Papa Francesco, sono la memoria, la saggezza, il sostegno anche al futuro della nostra società. Grazie probabilmente agli interventi di tipo economico, che speriamo l’Europa riversi anche sull’Italia e soprattutto sul versante sanitario ed assistenziale, auspichiamo si possa ripensare ad una cultura della domiciliarità. Cosa vuol dire questo? Noi dobbiamo fare di tutto perché l’anziano possa rimanere nella propria famiglia. Ci sono molti anziani autosufficienti o parzialmente autosufficienti. Con un sostegno diurno, con la presenza di infermieri, educatori e volontari, possono rimanere nella loro casa e nel loro ambiente. Questa, secondo me, è la prima priorità. La seconda priorità, già attuata da alcune Regioni, è l’affidamento familiare degli anziani. Così come si è sviluppato molto l’affidamento dei minori, bisogna fare in modo che sia possibile, per gli anziani che lo desiderano, poter essere accolti anche in famiglie vicine e ovviamente in questi casi lo Stato deve prevedere un sostegno economico. Per situazioni emergenziali di gravità acuta, si dovrebbe prevedere il supporto ovviamente di strutture ospedaliere. Noi addirittura riteniamo, in base alla nostra esperienza anche delle nostre case famiglia, che è possibile accogliere anche l’anziano non autosufficiente se accolto, amato e sostenuto con dei supporti dello Stato. È un impegno molto gravoso e noi abbiamo anche chiesto che vengano fatte proposte legislative di sostegno per quelle famiglie che scelgono di accogliere gli anziani. E, tra l’altro, ci sarebbe anche un impegno economico molto più sostenibile da parte dello Stato.

E poi se l’anziano è amato e sostenuto, non si sente un ingombro come a volte capita…

R. – Io e mia moglie viviamo in una casa famiglia, dove ci sono anche dei bambini. Abbiamo avuto, fino ad ottobre, una signora che era arrivata, con problemi anche di tipo psichiatrico, quando aveva 60 anni. Avrebbe dovuto essere ricoverata in manicomio. Invece è stata accolta in una famiglia. Poi è diventata anziana ed è morta all’età di 91 anni. E fino agli ultimi giorni, anche se non era più autosufficiente, era felice per la presenza dei bambini, dei nipotini. L’ambiente non è solo un ambiente da tenere pulito, che è una cosa estremamente importante. Ma soprattutto è importante che l’ambiente sia vitale, relazionale. È l’ambiente che da vita, che forma e plasma le relazioni. E da qualità alla vita.

La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente in diversi Paesi del mondo. Quali differenti approcci avete riscontrato quando si parla di anziani?.

R. – Siamo presenti in 43 Paesi nel mondo, in tutti i Continenti. Ci sono situazioni molto diversificate, Ci sono delle culture che ancora apprezzano il valore dell’anziano come quella cultura africana. E questo si riscontra anche in diversi Paesi dell’America Latina. Purtroppo però, questa attuale impostazione tecnologica, economica e finanziaria progetta quasi un business per l’accoglienza delle persone della terza età che tra l’altro, in Europa, sono presenti in numero considerevole.

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