Libia: nuove esecuzioni e minacce dello “Stato islamico”

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Libia, miliziani del sedicente Stato islamico hanno ucciso, a Sirte, almeno 4 persone. Il cadavere di una delle vittime è stato legato a una croce ed esposto come monito. Nella città libica, diventata la roccaforte dei guerriglieri jihadisti nel Paese nordafricano, è stato creato un vero e proprio emirato sul modello di quelli già stabiliti a Raqqa, in Siria, e a Mossul, in Iraq. Su Internet si registrano, inoltre, nuove minacce contro l’Italia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

Sirte, città natale di Mu’ammar Gheddafi, e in passato centro di smistamento delle carovane dirette nelle regioni dell’Africa centrale, è sotto il controllo delle milizie del sedicente Stato islamico. Questi sono giorni cruciali per il futuro della città. Il generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito legato al governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, ha reso noto che i suoi soldati si stanno preparando per un’importante operazione militare. A Sirte, intanto, i combattenti jihadisti hanno stabilito un vero e proprio emirato riscuotendo tasse, imponendo nuovi programmi scolastici e creando tribunali islamici. E su Internet hanno lanciato nuove minacce contro l’Occidente, ribadendo che la Libia è la porta per arrivare fino a Roma. Ma Sirte può davvero rappresentare il punto di partenza di un eventuale attacco dei miliziani del cosiddetto Stato islamico contro l’Italia? Risponde Francesco Tosato, analista del Centro studi internazionali:

R. – È importante tenere presenti le esigenze di propaganda dei miliziani jihadisti. Questo tipo di messaggi dirompenti fa parte di una strategia per avvalorare le presenza di una minaccia che, di per sé, è al momento più che altro circoscritta alla situazione libica. Può invece generare fenomeni di emulazione da parte di lupi solitari rispetto allo scenario europeo. Quindi, non la possibilità di un attacco diretto, da Sirte, nei confronti dell’Italia.

Stato islamico in Libia

D. – Desta molta preoccupazione la situazione in Libia, dove miliziani del sedicente Stato islamico hanno creato un vero e proprio emirato sul modello di quelli già stabiliti a Raqqa, in Siria, e a Mossul, in Iraq…

R. – La situazione libica va assolutamente risolta in qualche modo. La comunità internazionale sta cercando in tutti i modi di arrivare a una composizione del difficile quadro etnico e delle componenti di quello che è lo scenario sociale libico. Ma queste componenti non riescono a mettersi d’accordo rispetto alla formazione di un governo di unità nazionale. Ora, onde evitare gli errori del 2011 e della precedente operazione internazionale in Libia, è evidente che qualunque tipo di soluzione per la crisi libica non può prescindere dai libici.

La comunità internazionale e la Libia

Di conseguenza, è fondamentale che prima che la comunità internazionale possa avere una presenza anche più diretta nello scenario libico, si abbia una piattaforma politica almeno con un quadro di possibile stabilità iniziale condivisa dai libici. Una piattaforma che consenta, sostanzialmente, di non vedere l’intervento della comunità internazionale come qualcosa di assolutamente estraneo alla realtà locale. Il problema di fondo è quello di trovare un modo di ricomporre la frattura tra il governo internazionalmente riconosciuto, quello di Tobruk, rispetto alle entità di Tripoli.

 Senza cooperazione tra Tobruk e Tripoli  Libia instabile

Fino a quando non si riuscirà ad aver una minima base di cooperazione tra queste due entità, non si potrà giungere a una soluzione che possa essere condivisa e che possa riportare la Libia a un quadro di maggiore stabilità. Questa è la frattura che comunque cercano di sfruttare i combattenti jihadisti e, in particolare, coloro che fanno riferimento allo Stato islamico.

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By Alibaba2k16 [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], from Wikimedia Commons

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