Globalizzazione e insicurezza ambientale

L’interrogativo che viene posto nella relazione tra le connessioni dell’esperienza politica con la percezione della crisi ecologica lascia spazio a diverse considerazioni. Sembra trattarsi in primo luogo di un’autominaccia della civiltà imputabile a decisioni umane, ad avanzati processi industriali che derivano dal desiderio di manipolazione e controllo della civilizzazione. L’altro aspetto è quello della fragilità della civilizzazione, che – sul piano politico – può produrre un comune destino.

Pericoli globali

Parlare di destino è giusto in quanti tutti possono essere messi di fronte alle conseguenze di decisioni scientifico-industriali; parlare di destino è sbagliato in quanto i pericoli incombenti sono il risultato di decisioni umane. Gli spazi sociali transnazionali sorgono solo in virtù di un’azione intenzionale da cui possono scaturire anche conseguenze non intenzionali; ovvero, gli spazi sociali per esprimersi presuppongono attori e istituzioni orientati ad un fine: se i pericoli, che possono derivare dalle azioni di tali attori, fondano la società, i pericoli globali nati dalle conseguenze del mercato mondiale fondano una società globale.

   Si possono distinguere tre generi di pericoli globali:

i problemi relativi alla distruzione ecologica e ai pericoli tecnico-industriali determinati dalla ricchezza (buco dell’ozono, effetto serra ma anche conseguenze imprevedibili e incalcolabili frutto della biogenetica e della riproduzione assistita);
i problemi di distruzione ecologica e pericoli tecnico-industriali determinati dalla povertà (rifiuti tossici, le tecnologie invecchiate, la perdita di specie viventi, ecc.);
l’insorgere dei pericoli delle armi di annientamento di massa legato alle dinamiche della guerra.

 Minacce globali

Sia per i pericoli determinati dalla ricchezza che per quelli provocati dalla povertà si tratta di pericoli della “normalità”, che per lo più nascono nel rispetto della legge, dal momento che le norme di prevenzione e sicurezza o non sono presenti o sono lacunose, e proprio per questo hanno modo di verificarsi frequentemente. Ai pericoli del confronto militare tra Stati si aggiungono i pericoli che nascono al di fuori della legge e che sono connessi al terrorismo e alla criminalità organizzata. Le minacce globali mettono in discussione gli schemi di sicurezza tradizionali: i danni perdono la loro limitazione spazio-temporale e il principio dell’individuazione dei responsabili perde la sua capacità di operare distinzioni precise.

Percezione del pericolo

Da questa considerazione risulta evidente che non esistono pericoli globali come tali ma che essi sono piuttosto mescolati e intrecciati, fino all’irriconoscibilità, con i conflitti della povertà, con i conflitti etnici e con quelli dei nazionalismi che affliggono il mondo, in particolare dopo la fine dell’ordine conflittuale Est-Ovest. La percezione del pericolo sblocca gli automatismi, apparentemente ben radicati, della decisione sociale: ciò che è stato trattato senza rendere conto a nessuno dietro le porte chiuse dei manager e dei scienziati, ora deve improvvisamente giustificare le sue conseguenze sospinto dalle pressioni dell’opinione pubblica.

Globalizzazione e caso del Chapas

La dura faccia della globalizzazione e del neoliberismo è comparsa in modo violento, traumatico ed inequivocabile, due anni fa, in Messico, nella regione del Chapas. Qui si è potuto constatare che la globalizzazione dei mercati si è imposta con l’uso della forza e che l’ordine economico delle multinazionali è stato mantenuto mediante la violenza e la durezza delle repressioni. La lotta che gli indios hanno condotto per affrancarsi è costata sangue e stragi come quella di Acteal.

Paesi poveri e debito

Alla mondializzazione dei mercati corrisponde anche la mondializzazione dell’impoverimento, l’esclusione sistematica e programmata di centinaia di milioni di esseri umani dai benefici del mercato. Esistono fette di Chapas anche nei Paesi egemoni e grandi masse di popolazione continuano a restare escluse dai progetti di sviluppo perché di fatto non trovano l’interesse di nessuno. I Paesi poveri vivono in condizioni sempre più disperate e sono colpiti in quasi tutti i casi da un  fardello gravoso costituito dal debito verso Paesi più ricchi.Nei Paesi poveri la sostenibilità ecologica è fortemente insidiata dalla mancanza di risorse.

Squilibri e ambiente

A livello mondiale, benchè negli ultimi 35 anni (tra il 1960 e il 1995) la ricchezza prodotta annualmente si sia moltiplicata per sette, la parte del reddito mondiale detenuto dal 20% più povero del mondo è passato dal 2,3% all’1,4%, mentre la parte del 20% più ricco è passata dal 70% all’85%. Chi già stava molto bene ha visto quindi enormemente aumentare il proprio capitale mentre chi viveva tra gli stenti e la miseria ha visto la propria situazione addirittura peggiorare. Questo scenario così profondamente squilibrato si ripercuote anche sull’ambiente generando uno sfruttamento del territorio insostenibile.

Dalla tesi di laurea, nel 2001, di Amedeo Lomonaco: “Limiti e potenzialità del fenomeno della globalizzazione per l’economia contemporanea”.