Ucciso l’arcivescovo di Mossul, mons. Rahho

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

“Un atto di disumana violenza”. Con queste parole il Papa ha definito la morte dell’arcivescovo caldeo di Mossul Paulos Faraj Rahho, rapito il 29 febbraio scorso Iraq e il cui corpo è stato ritrovato oggi a Mossul. Benedetto XVI esprime il suo profondo dolore e manifesta la sua “particolare vicinanza” alla chiesa caldea. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco, il visitatore apostolico per i fedeli Caldei in Europa,mons. Philip Najim:

 

R. – Speriamo che il martirio di mons. Rahho serva all’Iraq e alla riconciliazione. E’ morto, ma la Chiesa è viva . E continua la sua missione. Noi tutti continuiamo la nostra testimonianza come cristiani in tutto il mondo. Preghiamo per l’Iraq, per i nostri fedeli e per il popolo iracheno. Preghiamo anche per il governo, perché sappia veramente realizzare la sua responsabilità nel proteggere i cittadini che hanno dato fiducia a questi politici. E chiediamo a Dio Onnipotente che ci sia pace per l’Iraq e per tutto il popolo iracheno.

Silenzio e preghiera

D. – E ora è il momento del silenzio e della preghiera…

R. – Questo sangue serva per creare la pace in Iraq. E’ un sangue puro, un sangue di fede, di cristiani che danno la vita per gli altri. E così gli altri capiranno benissimo il significato vero e autentico della pace, del rispetto della vita umana, dell’uomo, del dono sacro di Dio che è la vita. Coglieranno questa significato in Iraq, terra dove è nata la fede, perché è la terra di Abramo. E’ anche la terra dove Dio si è rivelato per la prima volta al mondo.

Appelli per l’Iraq

D. – Nei giorni scorsi il Papa ha rivolto più appelli per la liberazione di mons. Rahho. Adesso quali appelli possiamo lanciare per l’Iraq?

R. – Pace, dialogo, riconciliazione e rispetto del dono di Dio della vita. Si devono rispettare gli iracheni, i loro diritti, perché possano vivere una vita normale. Una vita che dia loro la possibilità di rientrare nella comunità internazionale. Spero che questa volta la coscienza della comunità internazionale sia viva e faccia qualcosa per l’Iraq. Spero che si fermi questo mare di sangue. Mi auguro che si fermino queste ondate di gente che lascia il Paese. Ho la speranza che si arresti questo flusso di migrazioni, di gente che cerca la pace, una vita normale. Questo non è un modello di democrazia, né di un mondo civile. Questo è il modello di un disastro naturale. Un disastro contro l’uomo, contro il popolo iracheno e contro tutto l’Iraq.

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