Tifo violento: ancora feriti e arresti

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Italia, la giornata del campionato di calcio è stata funestata, ieri, da incidenti ed episodi di violenza sia sugli spalti sia in campo. Gravi disordini si sono registrati, in particolare, a Torino in occasione del derby cittadino. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha ribadito che non ci sarà “nessuna clemenza per i teppisti”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

Una bomba carta è esplosa nella curva dei tifosi del Torino. Il bilancio del folle gesto è di almeno 10 persone ferite, nessuna fortunatamente in gravi condizioni. Ma l’episodio poteva avere conseguenze ben più gravi. Dopo l’esplosione dell’ordigno artigianale, infatti, schegge di seggiolini hanno colpito gli spettatori. I feriti sono stati trasportati in vari ospedali della città. Uno, in particolare, è tenuto sotto osservazione per intossicazione da esalazioni di fumo. Per i disordini all’interno dello stadio, sono stati arrestati cinque tifosi.

Grande tensione

Momenti di tensione si sono vissuti anche fuori dallo stadio con contatti tra alcuni gruppi ultrà delle due squadre e un fitto lancio di sassi e uova contro il pullman della Juventus, con a bordo la squadra. Un grave episodio si è registrato anche al termine della partita Empoli-Atalanta quando, secondo alcuni giocatori della squadra toscana, l’attaccante nerazzurro German Denis ha colpito con un pugno l’empolese Lorenzo Tonelli. Tutto sarebbe nato da un litigio in campo.

Su questa ennesima drammatica pagina del calcio italiano, Amedeo Lomonaco ha intervistato il giornalista sportivo Carlo Nesti:

 

D. – Tra le cose incomprensibili – a proposito di interventi preventivi – non si capisce come in uno stadio, nonostante i ripetuti controlli, qualcuno riesca ancora ad introdurre petardi, bombe carta, striscioni offensivi …

R. – Le leggi speciali ci sono già, però c’è un lassismo incredibile nel momento in cui devono essere applicate in determinate misure sia a livello preventivo sia a livello repressivo. Perché? Bisogna dirlo: non c’è un’adeguata collaborazione da parte delle società – ricattate da anni – che preferiscono subire il ricatto piuttosto che compattarsi contro queste forze a volte bestiali.

Società vittime

D. – Queste società vittime, ostaggio delle frange violente delle loro tifoserie, non fanno abbastanza per incapacità oppure c’è anche un ricatto ben più grave dietro?

R. – Non è incapacità ma paura. Paura di ricatti che possono essere di qualsiasi genere: la minaccia fisica nei riguardi di un dirigente, di un presidente, dei calciatori o, addirittura, pretendere e ottenere che i capitani delle squadre vadano sotto le curve per imporre la “loro legge” e non la legge dello Stato.

La prova del derby

D. – Ma è possibile, un giorno, anche facendo una giusta battaglia culturale, vedere giocare un derby non animato da un’accesa rivalità, ma magari dal comune amore verso la propria città?

R. – A volte succede. Ad esempio posso soltanto ricordare che in occasione dell’ultimo derby di Milano, appena una settimana fa, ci sono state coreografie stupende, nessuno striscione offensivo e nessun problema tra i tifosi. Quindi non è che questo non accada mai. Ma ci sono degli episodi sempre più frequenti, dinanzi ai quali occorrerebbe essere coraggiosi come all’estero. Quest’anno c’è stata la sospensione dei campionati in Grecia e in Turchia proprio a fronte di atti di violenza. E una sospensione del campionato italiano? Credo che sarebbe il momento.

Rischi

D. – Quali rischi in questo scenario?

R. – Andando avanti di questo passo – e purtroppo la famiglia di Ciro Esposito ne sa qualche cosa – ci “scappa” di nuovo il morto. Nel momento in cui non c’è una protezione adeguata da parte dello Stato e nel momento in cui le società non collaborano, è chiaro che quando i teppisti vengono a contatto tra loro il morto ci “scappa” per forza. E questo è uno scenario che fa venire i brividi a meno che, finalmente, non ci si renda conto di quale baratro stiamo conoscendo, di quanto sia lungo ancora il tunnel per uscire da queste problematiche che ci portiamo avanti addirittura dal caso Paparelli dell’inizio degli Anni ’80. Ma direi, soprattutto, da quello che doveva succedere e non è successo dopo il tragico 1985: la strage dell’Heysel a Bruxelles, che doveva insegnare tante cose ma le ha insegnate agli inglesi e non agli italiani.

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