Strage di Capaci. Maria Falcone: “Spartiacque nella lotta alla mafia”

Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Sono passati 28 anni dall’attentato mafioso, costato la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie e a tre agenti della scorta. Nostra intervista con la sorella del magistrato, la professoressa Maria Falcone.

Gesù desidera che siano abbattuti i muri dell’indifferenza e dell’omertà, divelte le inferriate dei soprusi e delle prepotenze, aperte le vie della giustizia, del decoro e della legalità”. Queste parole pronunciate da Papa Francesco il 3 giugno del 2018 durante la Messa nella chiesa di Santa Monica ad Ostia nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, sono una esortazione permanente per vincere ogni cultura di morte. Invitano anche a ricordare pagine buie, scritte con bombe e stragi, per costruire anche attraverso l’argine della memoria una società nuova, con fondamenta saldamente ancorate alla giustizia. Uno di questi giorni oscurati dall’odio si lega ad una data indelebile: il 23 maggio del 1992. Un boato e un’alta colonna di fumo nei pressi di Capaci sono i segni, da imprimere per sempre nella memoria collettiva, di un drammatico attentato compiuto dalla mafia. Oltre al giudice Giovanni Falcone e a sua moglie Francesca Morvillo, muoiono tre poliziotti della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

Giornata dedicata a chi si impegna per il bene comune

Per ricordare quella giornata e commemorare le vittime delle stragi mafiose di Capaci e di via d’Amelio, avvenuta il 19 luglio del 1992 e costata la vita al giudice Paolo Emanuele Borsellino e a 5 agenti della sua scorta, è in programma oggi una manifestazione organizzata dal Ministero dell’Istruzione e dalla Fondazione Falcone e intitolata “Il coraggio di ogni giorno”. “È dedicata – si legge nel comunicato della Fondazione – all’impegno di tutti i cittadini che in questi mesi di emergenza del Paese, con impegno e sacrificio, hanno operato per il bene della collettività”. A causa delle restrizioni necessarie per contenere la diffusione del virus Covid-19, le celebrazioni di questo anniversario si svolgono con modalità diverse rispetto al passato. Alle 17.58, come ogni anno, ma stavolta senza la partecipazione dei cittadini, il tradizionale momento del “Silenzio” sotto l’Albero Falcone, suonato da un trombettista della polizia di Stato.

Il giudice Giovanni Falcone

Lungo il solco lasciato da Falcone

La commemorazione di quest’anno si lega al periodo attuale, segnato dalla pandemia, che può essere sfruttato anche dalle organizzazioni criminali per trarre vantaggi e profitti da nuove forme di povertà. Tra le varie iniziative in programma oggi, è previsto anche un flash-mob organizzato dalla Fondazione Falcone, per ricordare ed esprimere “un pensiero di gratitudine a chi, nella lotta alla mafia, o nella dura battaglia contro la pandemia, ha fatto la propria parte”.

Maria Falcone: il virus della mafia infetta l’economia

Il 23 maggio del 1992 è una data spartiacque nella lotta alla mafia, una piaga che si sconfigge anche attraverso la cultura della legalità. È quanto sottolinea la professoressa Maria Falcone, presidente della Fondazione intitolata a suo fratello Giovanni, aggiungendo che l’odierna giornata è dedicata in particolare a tutti coloro che, in questo tempo di pandemia, si sono prodigati con grande senso del dovere per affrontare l’emergenza sanitaria: medici, infermieri, esponenti delle forze dell’ordine, insegnanti, militari, volontari della Protezione civile, farmacisti, commercianti, rider, impiegati dei supermercati. “Donne e uomini che hanno reso straordinario il loro ordinario impegno mostrando un’etica del dovere che richiama uno dei più grandi insegnamenti che ci ha lasciato Giovanni Falcone”. Maria Falcone ricorda anche alcuni aspetti, meno noti, legati a suo fratello: “forse – confida a Vatican News – si era in parte allontanato dalla fede, ma non tolse mai la croce dal collo”.

R. – Quel giorno rappresenta uno spartiacque: dopo il 23 maggio del 1992, possiamo parlare di un prima e di un dopo nella lotta alla mafia. Quello rappresenta un momento particolare. È la fine del lavoro di Giovanni, ma in realtà non è così: ci ha lasciato tante di quelle lezioni di antimafia vera che sono e restano, per chi lavora in questo campo, una specie di vademecum.

Quindi un giorno spartiacque e anche una giornata per ribadire che la cultura della legalità è più forte di ogni cultura di morte…

R. – Giovanni diceva che la mafia è anche un fatto culturale. Quindi per sconfiggerla non basta la repressione, ma è necessario portare ai giovani una lezione di rispetto delle regole. Un passo necessario per far migliorare la società democratica in cui viviamo.

Le celebrazioni di quest’anno si legano al periodo attuale, condizionato dal coronavirus. Si è scelto di celebrare il coraggio degli italiani che si sono messi al servizio del Paese in un momento così drammatico…

R. – È stato proprio quello a cui ho pensato in questi giorni di tristezza. Questa è un’Italia che soffre ma è unita. Un Paese che ha saputo rispettare le regole. È un l’Italia che ha fatto del senso del dovere e dello spirito di servizio il comandamento più importante. Abbiamo visto tanti medici, infermieri, uomini delle forze dell’ordine che sono morti proprio nel compimento del proprio dovere. Siccome Giovanni era animato dalla “religione del dovere”, quest’anno come Fondazione Falcone abbiamo voluto accomunare alla memoria del morti del 1992 anche coloro che sono morti in modo eroico nel 2020.

In questo periodo, segnato dalla pandemia, gravi minacce sono legate a possibili attività della mafia che possono sfruttare nuove forme di povertà…

R. – La lezione lasciata da Giovanni è che la mafia può approfittare di qualsiasi occasione che possa offrire loro nuove possibilità di guadagno. E sicuramente la situazione economica che stiamo vivendo presenta tante possibilità alla mafia di introdursi nel tessuto economico della nostra società pervadendo tutto quello che è sano e legittimo. Questo renderà la nostra economia infetta dal virus della mafia.

Quale è stato in particolare il rapporto di suo fratello con la fede e come i valori cristiani hanno forgiato il suo alto senso etico?

R. – Giovanni Falcone è cresciuto in una famiglia religiosissima. Sicuramente, era importante la Messa della domenica. Negli anni, devo dire che Giovanni fu un po’ traviato dalla cultura illuminista. Forse si era in parte allontanato dalla fede, ma non tolse mai la croce dal collo. La cosa che mi ha impressionato è stato il ritrovamento nei suoi cassetti, dopo l’attentato, di alcuni oggetti. Conservava ancora il nastro della prima Comunione e quello della Cresima. Era un illuminista con un sottofondo religioso cattolico.

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