© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Si intensificano gli sforzi per un cessate-il-fuoco in Libano, mentre sale a 390 il numero delle persone uccise nel Paese dei Cedri dopo due settimane di conflitto tra i soldati israeliani e gli Hezbollah. I guerriglieri sciiti hanno lanciato stamani 16 razzi su Haifa, provocando il ferimento di almeno 25 persone. Il governo israeliano ha annunciato, intanto, che gli aiuti per la popolazione libanese arriveranno all’aeroporto della capitale libanese. Da segnalare, poi, che a Gerusalemme si sono incontrati il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ed il premier israeliano, Ehud Olmert. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Incontrando il premier israeliano, Condoleezza Rice ha detto che è arrivata “l’ora per un nuovo Medio Oriente”. Per cambiare pagina e gettare le fondamenta per una “pace duratura” nella regione, bisogna trovare, secondo la Rice, una soluzione definitiva e non un accordo per una tregua provvisoria. Bisogna impedire – ha sottolineato la Rice – che si torni alla “precedente situazione”. Nella situazione attuale, invece, non è ancora possibile per il premier israeliano rinunciare alle azioni militari: Israele – ha precisato Olmert invocando il diritto dello Stato ebraico all’autodifesa – non esiterà ad adottare “misure più severe” contro la guerriglia libanese. Israele – ha aggiunto – è determinato a continuare la sua lotta contro gli Hezbollah e non contro il governo o il popolo libanese.

Difficoltà umanitarie

Il primo ministro ha anche ammesso che gli attacchi israeliani hanno creato delle “difficoltà umanitarie” e ha promesso la cooperazione del suo governo con gli Stati Uniti per arrivare ad una soluzione. Ma le condizioni per una tregua non sembrano ancora trovare un punto di incontro tra Israele e Libano: Olmert ha ribadito, stamani, che le condizioni israeliane sono il dispiegamento dell’esercito libanese nel sud del Paese ed il disarmo degli Hezbollah. La Rice ha chiesto, ieri, il rilascio dei due soldati israeliani sequestrati dai guerriglieri libanesi e il ritiro più a nord dei miliziani sciiti. Gli Hezbollahinsistono, invece, per uno scambio di prigionieri.

Il Libano chiede il ritiro israeliano nella zona contesa

Il presidente del Parlamento libanese, che ha respinto la proposta della Rice giudicandola “inaccettabile” ed “un pericolo per l’unità del Libano”, aveva anche avanzato, ieri, un pacchetto di proposte chiedendo il ritiro israeliano dalla zona contesa delle Fattorie di Sheeba, al confine fra Libano, Siria ed Israele. La difficile situazione libanese e soprattutto la crisi nei Territori palestinesi, dove stamani un nuovo raid israeliano ha causato il ferimento di otto persone, è al centro infine dell’incontro, iniziato poco fa a Ramallah, tra Condoleezza Rice ed il presidente palestinese, Abu Mazen. Durante il colloquio, la signora Rice ha detto che la regione mediorientale “ha bisogno di una pace sostenibile”.

Testimonianza di un profugo libanese

E in Libano, dove la situazione è sempre più critica, aumenta il numero di quanti cercano di abbandonare il Paese: dall’inizio delle operazioni militari israeliane, sono più di centomila i cittadini libanesi che hanno trovato rifugio in Siria e migliaia gli stranieri rimpatriati nei rispettivi Paesi. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco la testimonianza di Pascal, libanese con cittadinanza italiana, arrivato la settimana scorsa in Italia dopo un estenuante viaggio:

R. – Io ero un uomo adulto e solo; il viaggio è stato stancante. C’erano nel mio gruppo donne sole con bambini. Comunque, devo dire che l’ambasciata italiana è stata molto tempestiva e molto efficiente, tra le prime ad attivarsi. Il viaggio è stato faticoso: alle cinque del mattino, siamo andati con un convoglio di autobus fino al porto dove ci siamo imbarcati su una nave militare; quindi, siamo arrivati a Cipro. Lì c’era l’unità di crisi che ci aspettava. Poi, con dei voli civili ci hanno portato a Roma. Il viaggio è durato 25 ore.

Il Paese è paralizzato

D. – E quando sei partito, quale Libano hai lasciato?

R. – Purtroppo, un Libano paralizzato, distrutto a livello di infrastrutture. Per l’ennesima volta, i libanesi pensavano che l’esperienza della guerra fosse un dramma concluso. Pensavano che il Paese si stesse riprendendo ed, invece,è scoppiato questo nuovo conflitto.

Il conflitto per i libanesi

D. – A parte le posizioni specifiche degli israeliani e degli Hezbollah, qual è la percezione della popolazione libanese di questo conflitto?

R. – C’è in Libano una unione, anche se non c’è un consenso. Per quello che c’è stato, sia da parte degli Hezbollah sia da parte di Israele, non c’è il consenso della popolazione. Però adesso, a livello umanitario, tutti i libanesi sono uniti. Nella maggior parte, fino a due terzi dei libanesi considerano non giusta l’azione degli Hezbollah contro Israele.

Hezbollah: uno Stato dentro lo Stato

D. – Gli Hezbollah quale Libano rappresentano?

R. – Noi li consideriamo uno Stato dentro lo Stato: loro hanno finanziamenti enormi, hanno un arsenale molto più fornito di quello dell’esercito libanese. Rifiutano, poi, di applicare l’Accordo di Taif, in base al quale gli Hezbollah devono consegnare le armi e lasciare il controllo del sud del Libano all’esercito libanese. Si sono sempre rifiutati, sostenendo che Israele occupava il Sud. Ma nel 2000, le forze israeliane hanno lasciato la parte meridionale del Libano. Gli Hezbollah hanno comunque mantenuto le armi e sono rimasti nel sud.

Ingerenza siriana

D. – Cosa rappresenta la Siria, oggi, per i libanesi, soprattutto in questa situazione di conflitto?

R. – Due terzi della popolazione teme chela Siria possa tornare ed esercitare un’influenza ancora più forte in Libano; c’è poi un terzo dei libanesi per i quali questa ipotesi è una speranza: secondo i libanesi pro siriani, il Libano senza la Siria non ha futuro. Per me, questo è sempre stato il problema del Libano: molti pensano che noi libanesi non possiamo raggiungere risultati importanti da soli e che dobbiamo sempre appoggiarci a qualcuno al di fuori del Libano. E questo, secondo me, è lo sbaglio.

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