Proteste in Egitto, ruolo della rete

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Egitto, sono almeno 5 le persone morte a causa delle violenze scoppiate ieri durante le manifestazioni antigovernative. Il Ministero degli interni ha vietato altre dimostrazioni, ma l’opposizione ha già annunciato altre proteste. Nel mirino c’è il presidente egiziano, Hosni Mubarak, e il suo governo.

Intervista con la prof.ssa Pacelli

Ancora una volta, come in Tunisia, la protesta è partita da Internet. Anche in Egitto le manifestazioni sono state organizzate attraverso social network come Facebook o Twitter. I nuovi media si rivelano, dunque, inediti strumenti di partecipazione popolare, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco la prof.ssa Donatella Pacelli, docente di Sociologia della comunicazione presso la Libera Università Maria Ss. Assunta di Roma:

R. – Gli esempi che abbiamo nella cronaca internazionale di oggi ci fanno vedere che un particolare uso delle nuove tecnologie può riattivare il corpo sociale, riqualificarlo come un attore individuale e collettivo, che vuole costruire democrazia attraverso una maggiore partecipazione. In quei contesti, stiamo assistendo a questo. Vediamo una rincorsa verso una nuova forma di partecipazione e di comunicazione, due processi che in realtà non sono sempre andati poi così d’accordo. Tant’è che molti entusiasti dei nuovi media – ma io vedo anche le “ombre” – dicono: “Finalmente usciamo dal verticismo di una informazione gestita da quello che una volta si chiamava quarto e quinto potere”. Su Internet c’è chi dice si stia formando il “sesto potere”, ovvero quello della popolazione, della società civile.

Internet e Paesi arabi

D. – Internet e il mondo arabo: può cambiare realmente qualcosa attraverso la diffusione di Internet?

R. – Può concorrere. I media possono sempre essere fattori di promozione e di sviluppo, tanto più in quei contesti che ancora vivono una forte chiusura sociale. Il rapporto tra gli strumenti di comunicazione e la cultura è sempre a due vie: i media riusciranno a promuovere cambiamento, sviluppo e quindi apertura in ambito culturale, se già c’è uno spirito del tempo. Possono essere moltiplicatori dello sviluppo, non crearlo.

Rivoluzione digitale

D. – Possono anche essere, però, promotori di una sorta di rivoluzione digitale, che poi deve portare i regimi autocratici – comunque – a dover fare i conti con questo nuovo fenomeno…

R. – Certamente, la cultura e la cultura politica in particolare e tutto ciò che è già stato prodotto e costruito deve sicuramente fare i conti con queste nuove forme di protesta. Dobbiamo anche capire, però, se sanno interpretare i linguaggi di questa protesta. Il discorso del linguaggio è sempre importante aprirlo, perché il linguaggio implica un mondo di riferimento e allora dobbiamo pensare che ci siano già delle generazioni abilitate ad un uso consapevole del linguaggio dei nuovi media e che, dall’altra parte – parliamo delle istituzioni politiche – ci sia anche la capacità di dialogare con questo linguaggio.

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