Pasqua ad Haiti: intervista con il nunzio, mons. Auza

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

All’indomani della Santa Pasqua e delle celebrazioni per la Risurrezione del Signore, la popolazione di Haiti cerca di sanare le ferite ancora aperte del terremoto affidandosi alla speranza nel futuro. Per la comunità cristiana, in particolare, questa speranza si chiama Gesù Cristo. Quale luce ha portato quest’anno la Pasqua ad Haiti dopo l’oscurità del sisma dello scorso 12 gennaio? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al nunzio apostolico nel Paese caraibico, mons. Bernardito Auza, raggiunto telefonicamente a Port-au-Prince:

R. – Nell’immediato viviamo con la speranza, perché ci sono ancora un milione di persone che vivono per la strada. Speriamo, quindi, che questa Pasqua porti anche la speranza di poter trovare anche delle sistemazioni migliori, che finora non ci sono ancora. Certo, la grande speranza è quella di potersi riprendere, anche dal punto di vista psicologico. La gente è molto speranzosa e guarda sempre al futuro, ma ancora non riesce a trovare la forza per superare questo shock, questa tragedia.

Profonde ferite

D. – A proposito di questo shock e di questa tragedia, oltre alle rovine degli edifici il terremoto ha lasciato anche nella popolazione profonde ferite. Quali sono oggi le “macerie” più difficili da rimuovere?

R. – Si vede ancora tanta gente per la strada, che vive nelle tende, che guarda lontano, senza veramente guardare niente. Queste persone sono rimaste in quella situazione di grande paura; sembra che la paura e il crollo delle loro case siano scene ancora molto forti davanti ai loro occhi. La prima emergenza è questa! E lo è anche per noi, perché ci sono tanti sacerdoti, tanti religiosi e religiose che sono ancora in questo stato di non riuscire a reagire dopo la tragedia del terremoto. Ci sono, comunque, tante iniziative in questo senso. Ci sono anche gruppi di psicologi e sacerdoti che girano nelle nostre comunità per cercare di aiutare la gente, per cercare di farli parlare della loro esperienza, per cercare di farli aprire. Questa è una ferita veramente molto profonda nella psiche della gente. Nessuno – ad esempio – vorrebbe in questo momento vivere in case di cemento: tanta gente preferisce vivere in strada e nelle tende.

Impegno della Comunità internazionale

D. – La Conferenza dei Paesi donatori ha promesso lo stanziamento di oltre 5 miliardi di dollari per la ricostruzione. Come valutare questo impegno da parte della Comunità internazionale?

R. – Si tratta di una somma allocata per i prossimi due anni. E’ certamente una somma importante, ma considerando la gravità della distruzione materiale e dell’assenza delle infrastrutture, questa somma sarà riversata in un mare di necessità. Ci vorrà tempo, ma ci vorranno anche tante risorse.

Popolazione di Haiti e fede

D. – Per affrontare queste necessità, la popolazione di Haiti attinge anche al grande patrimonio della fede…

R. – La fede degli haitiani è stata sempre esternata. Gli haitiani hanno una religiosità – per così dire – molto visibile, molto vivace. Questo si vede sempre: anche dopo il terremoto, la gente si riuniva in ogni angolo della strada per cantare insieme “Alleluia”. Hanno una grande forza ed io ho veramente fiducia che questa forza della fede sia un elemento fondamentale per superare lo shock psicologico in cui la gente ancora si trova.

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