Myanmar: elezioni tra crisi e speranze di pace

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Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Si tengono domani le consultazioni generali nel Paese asiatico, un appuntamento confermato nonostante la richiesta di rinvio dell’opposizione a causa della pandemia. Con noi Cecilia Brighi, segretario dell’Associazione “Italia-Birmania insieme”: la pandemia ha causato costi sociali ed economici altissimi.

Il voto di domani è definito dagli osservatori internazionali un test per la piena transizione democratica del Paese dopo decenni di governo da parte dei militari. Sono circa 37 milioni gli elettori chiamati alle urne. Si prevede che l’affluenza sarà però condizionata dal recente aumento di casi di coronavirus registrati nel Paese. In base ai sondaggi, ad ottenere la vittoria sarà la Lega per la democrazia. Ma per il partito di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991 che ha già votato lo scorso 29 ottobre, non si profila un trionfo come nelle elezioni del 2015. Causa del probabile calo dei consensi per la Lega per la democrazia, secondo gli esperti, soprattutto la difficile situazione economica. Resta ancora forte il sostegno da parte della maggioranza buddista Bamar, il gruppo etnico dominante. Ma molti analisti concordano nel ritenere che il consenso si è comunque sparpagliato tra i tanti e diversi gruppi etnici minori presenti nel Paese. Si deve anche segnalare che parte della popolazione non potrà recarsi alle urne a causa di conflitti che ancora flagellano il Myanmar, il voto è stato cancellato in diverse città del Shan e del Rakhine e in oltre 500 villaggi di altre regioni.

Un articolo della Costituzione priva del diritto di voto anche monaci e monache buddisti, preti cattolici, suore, religiosi cristiani e musulmani. Recentemente Il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, si è rivolto al governo del Myanmar perché abolisca questa disposizione costituzionale: “Come cardinale – aveva detto tra l’altro – posso fare dichiarazioni e discorsi e incoraggiare i cittadini a votare, ma io stesso sono escluso dal voto. Si tratta di una disposizione estremamente insolita. Non sono a conoscenza di nessun’altra democrazia in cui questo sia necessario”.

La questione dei Rohingya

Sono diversi i fattori di tensione nel Paese. Tra questi, il fatto che parte della popolazione non potrà accedere alla votazione. In particolare i Rohingya, popolo musulmano che vive nel nord del Myanmar, sono considerati una minoranza straniera e non hanno diritto di voto. Molti Rohingya sono fuggiti dal Paese nel 2017 per una gravissima crisi segnata da violenze e conflitti. Sono almeno 860mila i rifugiati di questa etnia che attualmente vivono in insediamenti in Bangladesh. Nell’ambito del viaggio apostolico in Myanmar e Bangladesh nel 2017, Papa Francesco al termine dell’incontro interreligioso ed ecumenico per la pace aveva salutato un gruppo di profughi Rohingya. La vostra tragedia, aveva affermato in quell’occasione il Pontefice, è molto dura e grande, ma vi diamo spazio nel cuore. A nome di tutti quelli che vi hanno perseguitato, che vi hanno fatto del male, chiedo perdono.

Siano elezioni libere

“Chiediamo alle autorità del Myanmar di garantire che le elezioni  siano libere ed eque, seriamente preoccupati che circa due milioni di persone, appartenenti principalmente a minoranze etniche, non potranno votare”. Queste le parole dell’analista senior per l’Asia orientale di Christian Solidarity Worlwide (CSW), Benedict Rogers, in un comunicato pubblicato sulla pagina web dell’organizzazione cristiana impegnata nella difesa dei diritti umani e della libertà religiosa. Rogers ha sottolineato come “questa domenica il Myanmar avrà bisogno di un miracolo”, perché “negli ultimi cinque anni il Paese ha perso molti dei risultati ottenuti in materia di diritti umani e di democratizzazione”. Nel comunicato si ricorda che per vari motivi sarà negato il diritto di voto a circa due milioni di persone e che al voto non potranno partecipare alcune minoranze etniche. “Il Myanmar deve fare molto di più per porre fine alla discriminazione contro le minoranze religiose ed etniche – sottolinea infine Rogers –  abrogando anche la legislazione discriminatoria, come le leggi che limitano la conversione religiosa e il matrimonio interreligioso, e la legge sulla cittadinanza del 1982 che nega al popolo Rohingya pieni diritti di cittadinanza”.

Un Paese scosso da conflitti e tensioni

Ad influenzare il voto in Myanmar ci sono anche questioni legate al contesto geopolitico del Sud Est asiatico. È quanto sottolinea Cecilia Brighi, segretario dell’Associazione “Italia-Birmania insieme”.

Quello di domenica, afferma Cecilia Brighi, è “un appuntamento molto importante”. Il capo delle forze armate ha messo in discussione la trasparenza del voto. Il Paese è al centro “di uno scontro economico tra India e Cina” e quindi ci sono grandi problematiche “che riguardano la sfera geopolitica della regione”. Il Myanmar, aggiunge, arriva alle elezioni con una situazione segnata, a causa della pandemia, da “costi sociali ed economici altissimi”. La questione di fondo di queste consultazioni è che la Commissione elettorale ha bloccato il voto in molte aree di conflitto. Nello Stato Arakan il 72,5% degli elettori non potrà andare a votare. Questo crea “problemi di giustizia e di accessibilità alle scelte democratiche”. “La gente, sottolinea Cecilia Brighi, vuole andare a votare” anche nelle situazioni di conflitto. Questa scelta della Commissione elettorale è grave”. Ed è altrettanto grave che nello Stato Arakan da oltre un anno sia bloccata la rete di Internet per cui non ci sono informazioni. Ci sono elementi, conclude il segretario dell’Associazione “Italia-Birmania insieme”, che accentuano le tensioni tra le popolazioni etniche.

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