Myanmar anche i cristiani vittime di persecuzioni

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Diversi mezzi di informazione si sono soffermati, in questi giorni, sulla drammatica situazione vissuta, in Myanmar, dalla minoranza islamica dei Rohingya. In molti hanno lasciato le loro case nello Stato del Rakhine. Più di 300 mila profughi di questa minoranza vivono all’interno di improvvisati campi in Bangladesh. Ma oltre ai Rohingya, anche gruppi etnici, tra cui minoranze cristiane, sono vittime di persecuzioni e discriminazioni.

cristiani sono quasi l’8 per cento della popolazione che, complessivamente, supera i 50 milioni di abitanti. Appartengono, in prevalenza, alle etnie Chin e Kachin. L’etnia Chin è composta da circa 500 mila persone. Il tasso di povertà (oltre il 70%) è il più alto dell’intera nazione e gli abitanti sono dediti, in prevalenza, all’agricoltura. Nello Stato del Kachin, le minoranze sono prese di mira. Nel 2015 due missionarie cristiane, che insegnavano in una scuola, sono state trovate morte. Comunità cristiane sono presenti anche nello Stato di Karen, ancora scosso da scontri e combattimenti.

Negli ultimi anni, nelle terre abitate da cristiani, sono state distrutte chiese, incendiati villaggi. Centinaia di migliaia di persone, inoltre, sono state costrette alla fuga. Negli Stati di Chin e Kachin, dove la popolazione è prevalentemente cristiana, l’esercito – ricorda la fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” – ha a lungo promosso “una politica che costringeva i cristiani a rimuovere le croci dalle zone collinari e dalle cime delle montagne”.

Il quadro politico del Myanmar, dopo la caduta del regime militare, è stato segnato, negli ultimi mesi, da profondi cambiamenti. Nel 2015 si sono tenute le prime elezioni democratiche dopo oltre 25 anni. Si è registrata la netta vittoria della Lega nazionale per la democrazia, guidata da Aung San Suu Kyi. Il premio Nobel per la Pace ha subito affermato che il suo governo avrebbe assicurato adeguata protezione alle minoranze. Nel 2016 è stato eletto dal Parlamento il nuovo presidente, Htin Kyaw. Pochi giorni, dopo si è insediato il governo. Tra le principali sfide, che il nuovo esecutivo è chiamato ad affrontare, alcune sono legate alla libertà religiosa.

Papa Francesco si recherà in Myanmar dal 27 al 30 novembre. Il Pontefice visiterà le città di Yangon e Nay Pyi Taw. Il Santo Padre si recherà nello Stato asiatico, su invito del governo, per incoraggiare pace e armonia. Ma quale Paese troverà il Pontefice? Risponde padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News:

 

R. – Il Papa troverà un Paese che si sta sviluppando tantissimo, soprattutto a Yangon e intorno a Yangon. Ci sono tantissime industrie che stanno crescendo un po’ ovunque. Il Myanmar è un Paese, però, molto squilibrato. C’è una popolazione che fa fatica a vivere. Ma cominciano ad esserci anche dei grandi ricchi, collegati all’esercito. Questo pone un altra questione: la situazione delle città e della maggioranza buddista e birmana e la situazione delle minoranze che, spesso ,sono o animiste o cristiane. Questo è un altro grande problema: queste minoranze spesso sono emarginate dallo sviluppo economico, sono penalizzate perché tante volte ci sono espropri di terre. E ci sono anche scontri armati, soprattutto con alcuni dei gruppi delle minoranze.

D. – Aung San Suu Kyi ha assicurato l’impegno del proprio partito per garantire adeguata protezione alle minoranze…

R. – Aung San Suu Kyi sta cercando veramente di tutto per creare una base per la riconciliazione. Ma c’è un problema enorme: il fatto che tutta l’economia e un po’ tutta la struttura della società siano ancora in mano all’esercito. L’esercito gestisce tutti i contratti economici e i rapporti con le minoranze sui confini.

La Costituzione del Myanmar garantisce ad ogni cittadino “il diritto alla libertà di coscienza e il diritto di professare liberamente e praticare la religione, purché questo non interferisca con l’ordine pubblico, la morale, la salute e altri provvedimenti”. Nella Carta costituzionale si afferma anche che al buddismo viene conferita “una speciale posizione in quanto fede professata dalla maggioranza della popolazione”.

Nel 2015 sono state promulgate quattro nuove norme, conosciute come “leggi per la protezione della razza”. Sono state introdotte misure che restringono la possibilità di conversione religiosa e di matrimoni interreligiosi. Una coppia composta ad esempio da una donna buddista e da un uomo di un’altra religione può sposarsi solo se non si riscontrano obiezioni. In caso contrario, la questione deve essere affrontata in tribunale. Nel recente rapporto delle Nazioni Unite sui diritti umani in Myanmar si critica questa legislazione sottolineando che contribuisce ad alimentare un clima di intolleranza religiosa.

Sulla situazione del Myanmar si sofferma, infine, anche il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon. La Chiesa – sottolinea il porporato le cui parole sono state riprese dall’agenzia Fides – sostiene i diritti fondamentali di tutti, inclusi i Rohingya. Nel Paese – ricorda il cardinale Bo – anche altri gruppi etnici minoritari di religione cristiana sono vittime di discriminazioni. Ma oltre al nodo delle minoranze e della libertà religiosa aggiunge – ci sono altre questioni urgenti da affrontare. Tra queste – conclude il card. Bo  la riduzione della povertà, il rafforzamento della democrazia, la costruzione dello stato.

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