© Amedeo Lomonaco, l’articolo per il mio blog www.amedeolomonaco.itLa scomparsa del giocatore argentino, considerato il più grande calciatore di tutti i tempi, è anche il ritratto dell’animo umano, dove spesso bene e male convivono e si affrontano senza esclusione di colpi.

È il 5 luglio del 1984: lo stadio San Paolo accoglie trionfalmente un giovane fuoriclasse argentino. È la notte tra l’1 e il 2 aprile del 1991. Quello straordinario artista del pallone, dopo una squalifica per doping, lascia Napoli in solitudine. Queste due sequenze di immagini nella vita di Diego Armando Maradona, morto lo scorso 25 novembre nella sua Argentina, mostrano chiaramente due volti distinti: quello di un giovane con un talento sopraffino e quello di un uomo che ha contaminato questo talento con laceranti e indelebili ferite nel corpo e nell’anima. A Napoli nel 1984 è arrivato Diego. Nel 1991 dal capoluogo partenopeo, dopo aver vinto due scudetti, è partito Maradona. Un genio e poeta del pallone, campione del mondo nel 1986, inchiodato da vizi ed eccessi.

 

Napoli, 5 luglio 1984: la presentazione di Diego allo stadio San Paolo  26 aprile 1991: Maradona, poche settimane dopo la partenza da Napoli, viene arrestato

Maradona, nel corso degli anni, “si è mangiato Diego”. Lo ha progressivamente spogliato di quella genuina e verace indole che lo ha contraddistinto sin dalla nascita, a Buenos Aires, nella periferia polverosa di Villa Fiorito. Il peso di Maradona ha schiacciato l’animo di Diego che aveva soprattutto l’ambizione di uscire dalla miseria e aiutare la sua famiglia a vivere una vita dignitosa. Nel pallone quel giovane ha trovato uno strumento di riscatto. Ma anche un giogo che lo ha consumato con droga, con frequentazioni ingombranti legate ad ambienti della malavita. In seguito ad un arresto cardiocircolatorio, quel giovane e quel campione sono morti. È morto Diego Armando Maradona, con i suoi due volti, le sue grandezze e le sue fragilità.

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