© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Medio Oriente, il braccio armato di Hamas dopo aver infranto la tregua unilaterale, continua ad attaccare il sud di Israele: diversi razzi sono stati lanciati, stamani e nella notte, dalla Striscia di Gaza contro lo Stato ebraico. Forze di sicurezza israeliane hanno ucciso, inoltre, un militante di Hamas a sud di Gaza. Sul versante politico, continuano intanto le divergenze tra presidenza e governo palestinese, soprattutto dopo l’annuncio da parte del presidente Abu Mazen di un referendum, previsto per il prossimo 26 luglio, sul futuro dei Territori. Ma come spiegare questa frattura? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa:

 

R. – E’ una frattura che va indietro nel tempo. I due movimenti di Fatah e di Hamas sono sempre stati non ostili, ma comunque rivali tra loro. Si sperava che, con le nuove elezioni, si trovasse un compromesso. Invece, sembra si vada verso una tensione sempre maggiore tra i due movimenti. Speriamo che queste tensioni non degenerino.

D. – Lo Stato di Israele, la Striscia di Gaza sotto il controllo di Hamas, e la Cisgiordania dove è ancora netto il potere di Al Fatah. C’è il rischio di due popoli e tre Stati?

R. – Alcuni già cominciano a parlare di questa prospettiva. Io credo, comunque, che l’ipotesi di due popoli e tre Stati sarebbe oggettivamente molto difficile. C’è il rischio, però, di una separazione totale – questo sì – tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

D. – Cosa può significare, per la popolazione dei Territori palestinesi, un referendum sul futuro Stato di Palestina?

R. – Lo scopo del referendum è quello di imporre una linea, quella del presidente Abu Mazen, su tutti, quindi anche su Hamas. Una linea che punti a non far dire al gruppo radicale: “Noi rappresentiamo la popolazione, quindi non si fanno trattative”. Il rischio, in realtà, è che questa situazione acuisca, ancora di più, la tensione con Hamas e che scoppi anche una forte rivalità. Non credo che si possa arrivare fino ad una guerra civile, ma il pericolo di violenze interpalestinesi è alto.

D. – Quali, dunque, le speranze e i rischi in questa fase segnata dalla ripresa dei raid israeliani, ma anche da nuovi attacchi palestinesi contro lo Stato ebraico…

R. – E’ veramente un momento molto difficile. Io credo che, da parte soprattutto della comunità internazionale, ci voglia molto buon senso e molta pressione, su entrambe le parti, perché siano moderate le posizioni. Israele non deve proseguire con questi attacchi; i palestinesi devono interrompere i lanci di razzi Qassam contro lo Stato ebraico. Bisogna anche dire che l’Autorità Nazionale Palestinese, adesso, ha bisogno di risorse. Uno dei problemi principali, uno dei grandi fattori di tensione, è proprio la mancanza di risorse economiche per la vita di tutti i giorni.

D. – Come vive la comunità cristiana questo fragile equilibrio della politica palestinese?

R. – Con grande apprensione. I cristiani, come tutti gli altri cittadini, soffrono molto, perché è molto difficile trovare attualmente, almeno a breve termine, una soluzione pacifica. L’unica risorsa che abbiamo è la preghiera. La speranza è di continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto nel nostro piccolo, senza la pretesa di cambiare nulla, ma dando almeno una piccola testimonianza, la più positiva possibile.

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