Giornata internazionale di commemorazione per le vittime dell’Olocausto

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Non far dimenticare al mondo la lezione lasciataci dalla tragedia della Shoah è l’obiettivo dell’odierna “Giornata internazionale di commemorazione per le vittime dell’Olocausto”. Nel messaggio per questa Giornata, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ricorda in particolare “madri e figlie, nonne e sorelle che hanno visto la loro vita cambiare irrevocabilmente, le loro famiglie separate e le loro tradizioni in frantumi”. Storie legate anche all’orrore di campi di sterminio come quello di Auschwitz. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

Sono passati 66 anni dalla liberazione dei superstiti del campo nazista di Auschwitz. Era il 27 gennaio del 1945 e le truppe sovietiche aprivano i cancelli di quel luogo di sterminio svelando al mondo la terrificante verità dell’Olocausto. Quella, ancora oggi, non è una storia d’altri tempi ma una pagina che rivive nelle testimonianze dei sopravvissuti, nelle iniziative commemorative e nelle coscienze. “Se comprendere è impossibile – ha scritto Primo Levi, uno dei testimoni della Shoah – conoscere è necessario”.

Non più esseri umani

E per ricordare quell’orrore, il campo di Auchwitz è diventato un museo. Ad Auschwitz, come in diversi altri campi di sterminio, uomini, donne e bambini non erano più esseri umani. Tutto era stato pianificato per annientare il fisico e cancellare la dignità umana. La dieta e le razioni ridotte, assieme al lavoro coatto, portavano allo sfinimento, il tatuaggio e un numero sostituivano il nome.

Ad Auschwitz testimonianze della tragedia

Oggi, davanti agli occhi dei visitatori, scorrono ad Auschwitz lasciando tracce indelebili bambole, vestiti e giocattoli di tanti bambini che non diventarono mai grandi, fusti di gas con il famigerato “Zyklon B” utilizzato nelle camere a gas, mucchi di capelli tagliati ai deportati, gli ambulatori dove medici nazisti conducevano esperimenti indicibili. Frammenti di una tragedia, quella dell’Olocausto, che ha portato alla morte oltre sei milioni di persone. Testimonianze e ricordi, che non si possono smarrire con il passare degli anni.

Naolitano: trovare la forza per combattere il male

“Se ogni anno si rinnova in Italia, come altrove nel mondo, la memoria di quella tragedia immane che fu la Shoah – scrive il presidente italiano, Giorgio Napolitano – ciò si deve alla volontà di rafforzare nell’animo delle nuove generazioni la certezza che l’uomo che si ispira a sentimenti istintivi e profondi di giustizia e di amore del prossimo riesce sempre a trovare la forza per combattere il male”.

Intervista con Piero Terracina

Ed oggi, in Italia, si celebra il “Giorno della memoria” per ricordare, in particolare, la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte. Piero Terracina, uno dei pochi ebrei italiani sopravvissuti al campo di sterminio nazista di Auschwitz, ripercorre al microfono di Amedeo Lomonaco la sua drammatica storia:

 

R. – È la più grande tragedia che possa capitare ad un essere umano. Non è iniziata quella sera del 7 aprile 1944, quando le SS tedesche, accompagnate da due fascisti italiani, sono venute a bussare alla porta dove, con la mia famiglia, eravamo rifugiati, ma è iniziata molto prima. Per me iniziò nel 1938, quando il governo italiano di allora, il governo fascista di Mussolini, con il re Vittorio Emanuele III – che firmò le leggi razziali – emanarono i primi provvedimenti contro gli ebrei, che divennero così cittadini di “serie B”, con moltissime limitazioni. Il mio cammino verso Auschwitz è iniziato esattamente il 5 settembre 1938, quando furono emanate le prime leggi razziali contro gli ebrei.

Arrivo ad Auschwitz

D. – Un drammatico cammino, che è poi proseguito fino all’arrivo al campo di concentramento di Auschwitz…

R. – Sono partito con la mia famiglia, eravamo otto persone ed io avevo 15 anni. Sono ritornato a Roma quando avevo 17 anni e mi sono ritrovato solo e disperato. Non avevo più nessuno. Di otto persone della mia famiglia soltanto io ero sopravvissuto all’inferno, perché quello era l’inferno. Ritrovarsi soli a 17 anni, dover iniziare una vita da soli, senza il supporto della famiglia, senza il sorriso o la carezza della mamma, è una cosa terribile.

Il momento della liberazione

D. – E poi, il 27 gennaio del 1945, è arrivato il momento della liberazione del campo di concentramento…

R. – C’è chi dice che sia stato il destino a salvarmi. Io dico che è stato il caso. Soltanto il caso ha voluto che, all’arrivo delle truppe sovietiche nel campo di Auschwitz, io fossi ancora in vita. Se avessero ritardato anche soltanto di una settimana, non avrebbero trovato più nessuno in vita.

Ricordare è un monito per il futuro

D. – Ricordi come questi non si smarriscono e sono un monito per il futuro…

R. – Non c’è niente, assolutamente niente che si è cancellato dalla mia mente. Quando sono tornato ricordavo tutto, nei minimi particolari. Niente è andato perso. Certamente mi accorgo che c’è un “ritorno” positivo: quando si riesce a far capire, soprattutto ai giovani, quello che è stato, quando si trasmettono delle commozioni, credo che ci sia un riscontro positivo e questo è molto, molto importante. La testimonianza, la trasmissione della memoria è diventata lo scopo della mia vita, soprattutto nei confronti dei giovani, che è giusto conoscano questi fatti e che si tutelino per il futuro, perché è accaduto e può accadere ancora.

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