Conferenza di Durban: Aids resta una pandemia

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

La battaglia contro l’Aids, la pandemia che ancora miete più vittime al mondo, non è vinta. E’ questo il grido d’allarme lanciato dalla 21.ma Conferenza internazionale sull’Aids, conclusasi ieri a Durban, in Sudafrica. Il mondo dell’informazione – è stato denunciato durante l’incontro – dedica sempre meno spazio a questa grave malattia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

Da quando l’Hiv ha cominciato a colpire, questo virus – scoperto nel 1983 – è stato contratto da circa 78 milioni di persone. I morti sono finora più di 39 milioni. In tutto il mondo, attualmente, i sieropositivi sono circa 36 milioni. Almeno 17 milioni, vale a dire quasi la metà, non hanno ancora accesso alle cure.

La regione più colpita è l’Africa Subsahariana

In diversi Paesi, soprattutto africani, è deficitaria la diffusione di farmaci antiretrovirali. Oltre 10 milioni di persone non sanno neanche di essere sieropositive. La zona più colpita è l’Africa subsahariana, dove le persone sieropositive sono oltre 25 milioni: più della metà sono donne, quasi 3 milioni sono bambini.

Ogni anno  due milioni e  mezzo di nuove infezioni

Negli anni passati il numero di nuove infezioni era in calo. Recentemente, questo trend ha subito una frenata. Ogni anno si registrano circa due milioni e mezzo di nuove infezioni. Di questi casi, circa 240 mila sono bambini. Dati che secondo diversi esperti possono compromettere l’obiettivo di sconfiggere questa epidemia entro il 2030. Si riducono, inoltre, i fondi per contrastare questa piaga: nel 2014 sono stati raccolti 8,6 miliardi di dollari, nel 2015 solo 7,5 miliardi.

Mondo dei media meno attento sull’Aids

La conferenza di Durban ha avuto il merito, tra l’altro, di riaccendere i riflettori su questa malattia. Ma il mondo dell’informazione sembra aver dimenticato l’Aids. Negli ultimi anni, si è registrata in particolare in questo ambito una grave battuta d’arresto con minori informazioni sulle modalità di contagio e sul fatto che non ci sono ancora cure definitive contro questo flagello.

La guerra contro l’Aids non è ancora stata vinta, serve un maggiore impegno internazionale per debellare questa piaga. E’ quanto sottolinea Gianni Guidotti, uno dei coordinatori del Programma “Dream” per la cura dell’Aids in Africa, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. L’intervista è di Amedeo Lomonaco:

 

R.  – Molte volte si ha l’impressione, leggendo i giornali e ascoltando i media, che l’Aids non sia più un’emergenza mondiale, non sia più un’emergenza per quanto riguarda la sanità pubblica nel mondo. In realtà, la Conferenza ha messo in evidenza ancora una volta questa grandissima emergenza. Ricordiamo che 36 milioni di persone nel mondo sono affette da Hiv.

I costi dell’Aids

D. – Solo 17 milioni di questi 36 milioni di persone affette da Hiv hanno accesso alle cure. È un discorso economico o c’è anche dell’altro?

R. – Senz’altro c’è un discorso economico dietro. Chiaramente, la cura dell’Aids ha un costo. In molti Stati, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sono costi insostenibili perché questi Paesi hanno sistemi sanitari molto fragili. Però, si è anche visto che, dopo l’allarme lanciato nel 2001 dalla comunità internazionale con la cooperazione dei grandi organismi internazionali, si è riusciti a dare anche una risposta a livello internazionale. Infatti, si è passati da poche decine di migliaia di pazienti in cura a 17 milioni. Quindi, quando la comunità internazionale vuole, si riesce a raggiungere numeri importanti. Purtroppo, la guerra non è ancora finita.

Informazione distratta

D. – E su questa guerra è sempre meno forte l’attenzione dei mezzi di informazione…

R. – Alcune forme di comunicazione non corrette hanno fatto in modo che questa epidemia sembrasse risolta o quantomeno sotto controllo. C’è stata da una parte una diminuzione nella mortalità. Però, dall’altra c’è il numero dei nuovi casi che purtroppo rimane sempre molto, molto alto: parliamo di circa due milioni e mezzo di nuovi casi ogni anno, che è un numero enorme. Curare le persone significa diminuire il numero dei nuovi casi. Quindi, mettere in cura il maggior numero possibile di persone è la forma di prevenzione più efficace; mettere più persone in terapia significa eradicare l’Aids. La battaglia si può vincere, però c’è bisogno di un grande impegno nei Paesi in via di sviluppo e nel mondo intero.

L’impegno della Chiesa

D. – In questo contributo così prezioso e globale c’è, in particolare, anche il sostegno della Chiesa che in questa battaglia è un attore importante…

R. – La Chiesa svolge un ruolo importantissimo, determinante; soprattutto – e noi lo osserviamo dal nostro periscopio sull’Africa – oltre il 60-70% dei sistemi sanitari dei Paesi sono gestiti da organizzazioni religiose. Grazie alla presenza della Chiesa e grazie al contributo finanziario della Chiesa si è riusciti a dare anche una risposta ai tanti a cui i sistemi pubblici non arrivano. Questo può dare veramente speranza a tanti Paesi che veramente, senza la presenza di tanti operatori e di strutture religiose, non potrebbero fare tanto.

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