Consulta ammette diagnosi preimpianto

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

E’ illegittima la legge che vieta l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili, ma portatrici di patologie genetiche. E’ questa, secondo indiscrezioni riprese da fonti di stampa, la decisione presa dalla Corte Costituzionale in merito alla norma inserita nella legge 40 sulla procreazione assistita. Il pronunciamento si riferisce a due procedimenti avviati da due coppie portatrici di anomalie genetiche. Ora bisogna attendere le motivazioni della sentenza. Su questo provvedimento della Consulta, Amedeo Lomonaco ha chiesto un commento al giurista Alberto Gambino:

 

R. – Si dice che ci sono alcune coppie che tecnicamente possono procreare, ma poiché hanno delle patologie genetiche che sono trasmissibili ai figli, in questo caso avrebbero una sorta di “sterilità sociale”, non biologica. Quindi, per queste coppie, ci si pone il problema se anziché concepire naturalmente – con la possibilità che il feto abbia queste patologie e la coppia poi possa ricorrere un domani all’interruzione della gravidanza – queste coppie si possano considerare come quelle affette da sterilità e quindi consentire loro l’accesso alle tecniche di fondazione e a questo punto, di conseguenza, ammettere questa cosiddetta diagnosi preimpianto che può monitorare lo stato di salute dell’embrione.

Rischi della diagnosi preimpianto

D. – Quali derive può aprire questa diagnosi preimpianto?

R. – Derive di due tipi. Occorre intanto fare attenzione che la diagnosi preimpianto non vada comunque a menomare l’embrione. Bisogna poi capire cosa poi comporta come conseguenze, perché – ahimè – la possibilità di rilevare patologie sono infinite, ma non è detto affatto che queste si riverberino poi sul feto e sul bambino una volta nato. Ci sono tantissimi casi di piccole patologie. A cosa possano poi condurre? Al rifiuto di quell’embrione?

Pseudodiritti

D. – Questa è un decisone figlia di una società che tende a creare nuovamente e continuamente pseudo diritti. Dopo quello ad avere comunque un figlio, si vuole aggiungere anche questo: avere un figlio sano…

R. – Questo in realtà, già per gran parte è stato superato dalla legge 194: con una legge che consente l’interruzione della gravidanza, soprattutto dopo il terzo mese dove ci sono delle lesioni psico-fisiche della donna provocate anche dalle patrologie che può avere il feto. Già in quella legge c’era questo bilanciamento che sacrificava la vita umana in nome di una “perfezione” che in quel caso poteva non esserci. Quindi la legge 40 inevitabilmente si confronta con quella legge 194 e sembrerebbe che oggi i giudici costituzionali abbiano trovato una via d’uscita che però, evidentemente, significa l’eliminazione di quell’embrione che non ha tutte le qualità biologiche come dovrebbe essere.

La legge 40

D.  – Dopo questo ulteriore passaggio la legge 40 è demolita o il suo impianto generale resta in parte ancora coerente?

R. – La Legge 40 aveva un’altra impostazione; non era un assegnare dei diritti ad avere dei figli, ma piuttosto voleva rimuovere alcuni ostacoli per chi questi figli non li poteva avere. Invece, soprattutto con l’apertura alla fecondazione eterologa che significa avere un figlio geneticamente non proprio, si apre la possibilità anche di scegliere i figli attraverso, a questo punto, la diagnosi preimpianto. Qui il tema è delicatissimo perché rischiamo di aprire ad una selezione anche di quelli che sono i tratti genetici dei figli, l’intelligenza e tutta una serie di riferimenti. Davvero, non vorremmo fosse così.

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