Padre Cantalamessa: l’umiltà è una battaglia che dura tutta la vita

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© Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews: Padre Cantalamessa nella terza predica di Quaresima: l’umiltà non è solo importante per il progresso personale nella via della santità ma è essenziale per la vita di comunità, per l’edificazione della Chiesa:

 

“Essere umile davvero significa avere il cuore di Gesù”. “Dio ama l’umile perché l’umile è nella verità”. La superbia, invece, prima ancora che arroganza, è menzogna. E “tutto ciò che, nell’uomo, non è umiltà è menzogna”. Nella terza predica di Quaresima nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, alla presenza di Papa Francesco e della Curia Romana, padre Raniero Cantalamessa esplora il vasto orizzonte dell’umiltà cristiana. Il punto focale della sua riflessione è questa esortazione di San Paolo:

“ Non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione. […] Non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi” (Rm 12, 3.16). ”

L’umiltà avvicina alla verità

Incentrando la predica sul tema “Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi”, padre Cantalamessa sottolinea che l’uomo, abbassandosi, si avvicina alla verità. San Paolo stesso confessa cosa scopriva quando scendeva nel fondo del suo cuore:

“ Scopro in me – diceva – un’altra legge…, scopro che il peccato abita in me… Sono uno sventurato! Chi mi libererà?” (cf Rm 7, 14-25). ”

L’umiltà è un rifugio dal peccato

L’altra legge alla quale fa riferimento San Paolo è il peccato dell’autoglorificazione, dell’orgoglio. Al termine del cammino di discesa, l’uomo dunque non scopre l’umiltà, ma la superbia. Umiltà – aggiunge padre Cantalamessa – è scoprire che, a causa del cattivo uso della nostra libertà, “siamo radicalmente superbi e che lo siamo per colpa nostra, non di Dio”:

Aver scoperto questo traguardo, o anche soltanto l’averlo intravisto come da lontano, attraverso la parola di Dio, è una grazia grande. Dà una pace nuova. Come chi, in tempo di guerra, ha scoperto che possiede sotto la sua stessa casa, senza neppure dover uscire fuori, un rifugio sicuro contro i bombardamenti, assolutamente irraggiungibile.

Umiltà significa aprirsi agli altri

Padre Cantalamessa ricorda anche le parole di Santa Angela da Foligno che esortava i suoi figli spirituali a sperimentare il proprio nulla:

“O nulla sconosciuto, o nulla sconosciuto! L’anima non può avere migliore visione in questo mondo che contemplare il proprio nulla e abitare in esso come nella cella di un carcere”.

“Chiudersi in quel carcere – osserva il predicatore della Casa Pontificia – è tutt’altro, che chiudersi in se stessi”. E’ invece aprirsi agli altri, all’oggettività delle cose:

Si scopre allora che esiste davvero questa cella e che vi si può entrare davvero ogni volta che lo si vuole. Essa consiste nel quieto e tranquillo sentimento di essere un nulla, e un nulla superbo. Quando si è dentro la cella di questo carcere, non si vedono più i difetti del prossimo, o si vedono in un’altra luce.

Maria modello insuperabile di umiltà

Solo Gesù può dichiararsi “umile di cuore” ed esserlo veramente. In Maria – spiega padre Cantalamessa – l’umiltà è “un prodigio unico della grazia”. Sull’umiltà della Madre di Dio, ricorda in particolare quanto scritto da Martin Lutero:

“Sebbene Maria avesse accolto in sé quella grande opera di Dio, ebbe e mantenne un tale sentimento di sé da non elevarsi sopra il minimo uomo della terra […]. Qui va celebrato lo spirito di Maria meravigliosamente puro, ché mentre le viene fatto un onore sì grande, non si lascia indurre in tentazione, ma come se non vedesse, rimane sulla giusta via”.

L’umiltà passa per la strada delle umiliazioni

Lo statuto della virtù dell’umiltà – sottolinea padre Cantalamessa – è speciale: “ce l’ha chi non crede di averla, non ce l’ha chi crede di averla”. Non si può uccidere il proprio orgoglio da soli. “Non ci dobbiamo illudere di aver raggiunto l’umiltà solo perché la parola di Dio, l’esempio di Maria ci ha condotti a scoprire il nostro nulla”:

“A che punto siamo giunti in fatto di umiltà, si vede quando l’iniziativa passa da noi agli altri, cioè quando non siamo più noi a riconoscere i nostri difetti e torti, ma sono gli altri a farlo; quando non siamo solo capaci di dirci la verità, ma anche di lasciarcela dire, di buon grado, da altri. Si vede, in altre parole, nei rimproveri, nelle correzioni, nelle critiche e nelle umiliazioni”.

L’umiltà edifica la Chiesa

Quella dell’umiltà – conclude il predicatore della Casa pontificia – è una lotta che dura tutta la vita. L’orgoglio è capace di nutrirsi sia del bene sia del male sopravvive in ogni situazione in ogni clima. In questa battaglia, come ricorda il filosofo Pascal, la vanagloria è un nemico sempre presente:

“La vanità ha così profonde radici nel cuore dell’uomo che un soldato, un servo di milizie, un cuoco, un facchino, si vanta e pretende di avere i suoi ammiratori e gli stessi filosofi ne vogliono. E coloro che scrivono contro la vanagloria aspirano al vanto di aver scritto bene, e coloro che li leggono, al vanto di averli letti; io, che scrivo questo, nutro forse lo stesso desiderio e forse anche coloro che mi leggeranno”.

In questa battaglia Dio soccorre l’uomo con un rimedio. “Perché l’uomo “non monti in superbia” – osserva padre Cantalamessa – “Dio lo fissa al suolo con una specie di ancora”. Gli mette “dei pesi ai fianchi”. E questi fardelli possono essere “un difetto, una malattia, una debolezza” che il Signore ci lascia. Pesi che “hanno il potere di mettere a nudo la nostra fragilità, di demolire la nostra presunzione”. L’umiltà – conclude padre Cantalamessa – non è solo importante per il progresso personale nella via della santità ma è essenziale per la vita di comunità, per l’edificazione della Chiesa.

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