Iraq, intervista con l’arcivescovo di Kirkuk

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

 In Iraq, almeno sei civili sono morti per l’esplosione di un ordigno a Baghdad. Due sauditi e un algerino, ritenuti membri di Al Qaeda, sono stati poi uccisi all’alba, nei pressi di Samarra, da soldati iracheni. Le notizie provenienti negli ultimi tempi dal Paese arabo sembrano comunque confermare un lieve, ma progressivo e incoraggiante, miglioramento della situazione. In un simile scenario, è stata accolta in questi giorni in Iraq una delegazione di Pax Christi che ha testimoniato la propria solidarietà al popolo iracheno. La delegazione, la cui missione si conclude oggi, ha potuto constatare come la comunità cristiana – pure nelle difficoltà – sia riuscita negli ultimi tempi ad organizzare incontri di preghiera, in passato non proponibili. E’ quanto sottolinea l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, raggiunto telefonicamente da Amedeo Lomonaco nella città curda:

 

R. – A Baghdad, la situazione è un po’ migliorata: giorni fa, in una chiesa nella capitale c’erano 700 giovani per partecipare ad un incontro di preghiera. Prima era una cosa impensabile. Anche a Kirkuk la situazione sembra tranquilla. Nei giorni scorsi, abbiamo ricevuto una delegazione di Pax Christi. Con loro abbiamo celebrato una Messa nella cattedrale. C’erano più di 1.500 persone. Questo è un segno di speranza. Con la preghiera, tutto può cambiare.

Il baluardo della fede

D. – Di fronte alla miseria umana della violenza, la fede è quindi uno dei veri, pochi baluardi contro l’orrore della guerra. Dove può portare in concreto la forza della preghiera?

R. – La preghiera ci aiuta ad aiutare l’altro, a rispettarlo come persona, a dialogare. Noi cristiani, ma anche i musulmani che pregano nelle moschee, siamo aiutati dalla fede, dalla preghiera. Penso che la fede, alla fine, ci aiuterà tutti a ritornare a Dio e anche ad andare gli uni verso gli altri. E’ l’unica soluzione, perché con la violenza non ci sono soluzioni.

Dalla parte del popolo iracheno

D. – Di fronte a quest’unica soluzione, ci sono però ancora delle forti contrapposizioni: ad esempio, quella tra terrorismo e democrazia, fondamentalismo e libertà religiosa. Quali azioni, quali parole servono per sostenere concretamente il popolo iracheno?

R. – Si deve sottolineare che adesso, anche i terroristi si rendono conto che le cose non cambieranno con la violenza, con la guerra, con gli attentati. La loro influenza diminuisce e gli iracheni sono coscienti, ora, che non c’è soluzione con le armi. La violenza si sconfigge con l’incontro ed il dialogo.

Cosa dire ad un miliziano di Al Qaeda

D. – Cosa direbbe allora ad un giovane terrorista di al Qaeda, che crede ancora nel terribile linguaggio della violenza?

R. – Io gli dirò che la vita è un dono di Dio all’uomo: non bisogna rovinarlo, bisogna rispettarlo. Se ci sono problemi, idee divergenti, bisogna incontrarsi. Bisogna dialogare, ma mai cedere alla violenza!

Cristiani in Iraq

D. – Parliamo adesso dei cristiani in Iraq. Come evitare che si interrompa, a causa di un esodo purtroppo continuo, il legame tra l’Iraq e la comunità cristiana irachena?

R. – E’ una cosa triste vedere che questo esodo continui. La nostra presenza in Iraq, se questa tendenza non si invertirà, non avrà senso. Tra due, tre anni non ci saranno quasi più cristiani… Speriamo che questa gente ritorni. Le Chiese dei Paesi occidentali possono aiutare le famiglie a ritornare: noi siamo qui anche per rendere testimonianza di qualcosa di diverso dagli altri. Rendiamo testimonianza con la nostra formazione, con la nostra morale, con il nostro impegno nella società, nel lavoro, nella cultura e nel dialogo. Questo impegno potrebbe perdersi. E sarebbe un peccato.

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