Il bambino morto in aereo: un dramma che interpella Africa ed Europa

Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews  Il sogno di un bambino della Costa d’Avorio si è tramutato in una tragedia. È morto assiderato in un carrello di un aereo dove si era nascosto per raggiungere la Francia. Intervista con Roberto Zuccolini, portavoce della Comunità di Sant’Egidio.

L’Europa è lontana ma un aereo può volare oltre la miseria, le bidonvilles, il deserto e il Mar Mediterraneo. Un aereo può regalare un futuro che in patria e in Africa sembra non essere assicurato. Sono probabilmente questi i pensieri che si sono affollati nella mente del bambino della Costa d’Avorio di circa dieci anni, arrivato all’aeroporto internazionale di Abidjian per cercare “un ponte” per l’Europa. Forse, in base alle prime ricostruzioni, è la complicità di qualcuno che gli permette di superare i controlli aeroportuali. Vestito con abiti leggeri, si avvicina ad un Boeing 777 dell’Air France in partenza per Parigi. Si rannicchia nel carrello del velivolo. È uno spazio angusto, né riscaldato né pressurizzato. Poi rullano i motori e l’aereo decolla.

Morire di freddo

Il Boeing prende poi quota fino a 10 mila metri di altitudine e le temperature scendono a-50°C. Oltre i 42 gradi sotto zero il corpo non riesce più a termoregolarsi. L’ossigeno si consuma rapidamente e in queste estreme condizioni sono processi inevitabili ed inesorabili la febbre, la sudorazione, le convulsioni e lo svenimento. Gli ultimi pensieri del bambino ivoriano sono avvolti dal freddo, dalla solitudine, dal buio. Poi il suo corpo, ormai senza vita, raggiunge la Francia.

Speranze tradite

A Parigi è quasi l’alba e gli operatori dell’aeroporto Charles de Gaulle trovano nel carrello del Boeing 777 partito da Abidjian un fagotto irrigidito dal gelo. È un bambino nero, di circa dieci anni. Un “passeggero irregolare”, si legge in un comunicato della compagnia aerea. Il suo volto non ha un nome. Le sue speranze tradite sono invece comuni a quelle di tanti giovani africani che cercano un futuro diverso da quello che i loro Paesi possono offrire. Ed il suo drammatico caso è simile a quello di altri adolescenti africani, trovati morti nei carrelli degli aerei di linea.

Sant’Egidio: non si può rimanere indifferenti

Quello del bambino ivoriano, sottolinea la Comunità di Sant’Egidio, è un terribile dramma dell’emigrazione che non può lasciarci indifferenti. Roberto Zuccolini, portavoce della Comunità sottolinea che bisogna riaprire le porte ad una immigrazione regolare. Ed i Paesi africani devono creare opportunità di lavoro, di scolarizzazione:

R. – Questo dramma assolutamente non ci può lasciare indifferenti anche se rischia, invece, di restare un caso sul quale non si parlerà tanto a differenza di quello che è successo 20 anni fa, quando vennero ritrovati nel carrello di un aereo arrivato a Bruxelles due giovani guineani, Yaguine e Fodé. Di loro si parlò molto anche perché venne ritrovata una lettera in cui si chiedeva all’Europa di poter avere un futuro diverso, cioè di poter studiare, lavorare e avere una vita normale come noi la possiamo offrire ai giovani europei. E questo è un problema perché l’Africa viene dimenticata con i suoi drammi. Questo Continente viene considerato soltanto un problema dall’Europa. Invece è una grande risorsa di giovani che guardano all’Europa.

Qual è la realtà della Costa d’Avorio? Cosa spinge i giovani ivoriani ad emigrare?

R. – La Costa d’Avorio è un Paese in grande sviluppo nel senso che il suo Pil viaggia quasi a doppia cifra. L’economia teoricamente va bene. Teoricamente nel senso che l’economia cresce, ma la popolazione non ne ha un grande beneficio, soprattutto la grande massa di giovani. Più della metà della popolazione ha meno di vent’anni. Questi giovani, soprattutto in un tempo di globalizzazione, a chi guardano come modello? Guardano a noi ma noi siamo un miraggio, soprattutto per chi abita nelle grandi periferie: molti giovani vanno via perché non vedono un futuro nel loro Paese. Allora si tratta, per l’Europa, di fare un esame di coscienza e di capire perché in una condizione – come quella dell’Italia e di tanti altri Paesi europei in cui c’è bisogno di forza giovane dato anche l’invecchiamento demografico – non si riaprono le porte ad un immigrazione regolare per far venire delle persone che vogliono contribuire anche allo sviluppo e alla crescita in Europa. Noi abbiamo lanciato ieri un appello, come Sant’Egidio, anche ai governi africani, perché chiudono troppo spesso un occhio di fronte a quello che è un dramma anche per loro: la partenza delle persone dai loro Paesi, fenomeno che non viene considerato come un problema ma, troppo spesso, come una liberazione. Ci deve essere allora un impegno da parte dei governi africani per creare possibilità di lavoro, di scolarizzazione. Quindi “aiutateli a casa loro” non deve essere uno slogan per fermare quella che si pensa sia un’invasione, inesistente, ma deve invece servire per aprire un dialogo, per aiutare in maniera concreta e urgente chi ha bisogno.

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