Tre anni fa gli attentati a Parigi, notte di terrore nel cuore dell’Europa
© Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews – Sono passati tre anni dagli attacchi terroristici compiuti da terroristi fondamentalisti a Parigi in luoghi affollati tra cui bar, ristoranti e nel teatro Bataclan.
E’ la sera del 13 novembre 2015. L’Europa e la Francia sono sotto attacco. E’ la più cruenta aggressione, in territorio francese, dalla seconda guerra mondiale. Parigi vive una notte di terrore: una drammatica sequenza di azioni terroristiche, rivendicate dal sedicente Stato islamico, provoca la morte di 130 persone.
Parigi scossa da esplosioni e attacchi
Alle 21.20 un giovane si fa saltare in aria nei pressi dello “Stade de France di Sain Denis”, dove è da poco iniziata la partita di calcio Francia – Germania. Pochi minuti dopo, vengono attaccati diversi ristoranti. Alle 21.40 inizia l’assalto più sanguinoso: a compierlo sono tre terroristi, nel teatro Bataclan, dove era da poco cominciato il concerto del gruppo rock americano “Eagles of Death Metal”. La prima raffica di mitra viene scambiata per un effetto speciale. Alcuni riescono a fuggire, altri si salvano fingendosi morti. Ma è un massacro e le vittime, all’interno della sala, sono almeno novanta.
Il dolore di Papa Francesco
Il 14 novembre del 2015, Papa Francesco in una telefonata a Tv2000 e trasmessa durante uno speciale a cura del Tg2000 sugli attentati terroristici di Parigi, esprime il proprio dolore. Non ci può essere giustificazione – sottolinea Francesco in quella occasione – “né religiosa né umana”.
Europa ferita
Intervistato da VaticanNews Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sottolinea che dopo gli attacchi di Parigi restano profonde ferite nel tessuto europeo:
R. – Lo scenario – anche mediorientale – è molto diverso. Lo Stato islamico sembrava ben radicato. Questa entità proto-statuale è stata sbalzata via ed è stata apparentemente o momentaneamente sconfitta. Dall’altro lato, quelle ferite che hanno colpito Parigi così sanguinosamente hanno cambiato molto il nostro rapporto nei confronti delle nostre minoranze musulmane, nei confronti della percezione dell’immigrazione e del nostro senso di sicurezza. Sono ferite che rimangono profonde nel tessuto europeo.
Defaillances dei servizi segreti francesi
D. – Cosa ha innescato quegli attacchi e perché non è stato possibile evitarli?
R. – Poter evitare sempre un attentato è un’illusione. Certo, in Francia ci sono state profonde manchevolezze e défaillances da parte dei servizi di sicurezza. Il dispositivo di sicurezza francese ha lavorato male e ha sottostimato alcune minacce.
La caduta dello Stato islamico
D. – Si può dire, paradossalmente, che quegli attacchi hanno portato alla caduta dello Stato islamico?
R. – Hanno accentuato la decisione occidentale di combattere il califfato jihadista. Noi avevamo una coalizione che agiva poco convinta; parti dell’Occidente, e questo va detto, soprattutto negli anni prima, avevano cincischiato e avevano fatto errori di valutazione nei confronti dell’opposizione al regime di al Hassad. E spesso avevano indirettamente favorito i movimenti sunniti radicali. In realtà, noi parliamo di sconfitta dello Stato islamico ma noi sappiamo che il jihadismo globale è multiforme, è molto fluido e si può riproporre. Non è mai una risposta militare quella che farà finire il jihadismo. La risposta deve essere necessariamente politica.
Il virus del fondamentalismo
D. – Il sedicente Stato islamico, che ha rivendicato gli attacchi di Parigi è stato dunque sconfitto ma l’Europa anche oggi, purtroppo, non è immune da virus terribili, come quello del fondamentalismo. Serve una risposta anche culturale …
R. – Assolutamente! Politica e culturale, perché l’Europa ha il virus del fondamentalismo islamico ma ha anche il virus del sovranismo più deteriore, i rigurgiti dei movimenti dell’estrema destra, i movimenti xenofobi, intolleranti. E quindi è un mix velenosissimo. Di fronte a questa situazione pericolosa e complicata, quello che bisogna assolutamente evitare è di trovare la scorciatoia di identificare il colpevole: negli anni Trenta in Europa gli ebrei, oggi gli immigrati musulmani.