Globalizzazione e società dei lavori

Le trasformazioni che investono la nostra società in questi anni sono un importante segnale di come sia in atto un grande processo di cambiamento che riguarda e riguarderà sempre di più le nostre vite. 

Globalizzazione ed effetti positivi per l’occupazione

La mitizzazione del passato (spesso legata a nefaste previsioni per il futuro) è la più spontanea reazione che l’uomo assume nella difesa delle sue certezze da fenomeni che non coglie o verso cui ritiene possa svolgere solo un ruolo passivo: l’internazionalizzazione e la globalizzazione infatti hanno indotto nelle prime considerazioni scetticismo, paura e avversione ma la prospettiva che bisogna assumere di fronte a tali fenomeni non può non considerare i numerosi effetti positivi che questi comportano.

Mercato del lavoro

In questa ottica diventa emblematica l’analisi dell’evoluzione del mercato del lavoro. La nostra società è stata la società del lavoro, dell’ideologia del lavoro: il lavoro è per noi un valore (oggi, rispetto al passato ha valore il negotium e non l’otium); il lavoro produttivo ha assunto un’importanza sociale tale che il diritto stesso di cittadinanza si è ritenuto indissolubilmente legato al diritto al lavoro (si pensi all’importanza che la Costituzione italiana assegna al lavoro nell’affermare che la Repubblica è fondata proprio su di esso).

Lavoro nell’era postindustriale

Il lavoro è l’elemento fondamentale che permette la costruzione di una propria identità sociale, la collocazione dell’individuo all’interno della stratificazione sociale, di quel processo di differenziazione nella società per cui le persone si collocano in strati diversi gerarchicamente collegati tra loro; il lavoro dà status e riconoscimento. Questa considerazione di natura sociologica è un’ulteriore prova di come il lavoro non stia per estinguersi e che nella vita degli individui questo non è più centrale come prima.Il lavoro quindi è ancora importante, ma nella vita dell’uomo “postindustriale”, esistono altri centri non meno importanti del lavoro stesso.

Lavoro e policentrismo

Il “policentrismo” è la conseguenza di una serie di mutamenti di natura economica e non solo che investono principalmente il mercato del lavoro ed hanno modificato percezioni e comportamenti individuali e collettivi. La prima considerazione ruota intorno alla percezione della fine di un’epoca e soprattutto di un’idea: l’idea dello sviluppo e del progresso realizzabile unicamente attraverso il modello urbano-industriale tipico ad esempio del triangolo industriale italiano.La fine del pensiero taylor-fordista è il superamento della produzione di massa e standardizzata a favore di una produzione “just in time” che muove il processo produttivo dal basso e riassegna lo scettro della sovranità al consumatore avente oggi la possibilità di decidere veramente tutto (la concorrenza tra aziende si basa proprio sui servizi aggiuntivi offerti al cliente).

Produzione più reattiva alle novità

Verso e per il cliente vengono intraprese precise azioni di marketing come la “customer satisfation” con lo scopo di soddisfare e di andare incontro alle sue esigenze. Proprio queste nuove esigenze, frutto di un potere di mercato il cui scettro è sempre più in mano ai clienti grazie anche alla leva tecnologica e meno alle aziende, hanno determinato lo sviluppo di questo nuovo modello di produzione più reattivo alle novità del mercato, caratterizzato da una marcata flessibilità nei tempi e nell’utilizzo dei fattori produttivi: viene meno la “stabilità” del modello precedente, della produzione in serie e indifferenziata; diventa cruciale la qualificazione delle Risorse Umane come leva di sviluppo aziendale e come strumento per realizzare un prodotto di qualità che possa vincere la sfida della concorrenza.

Lavoro flessibile

L’esigenza della flessibilità è l’esigenza di adeguamenti legislativi che permettono alle imprese di competere tramite le regole dei mercati, mondiali, informatizzati, tecnologicamente avanzati, qualificati professionalmente, estremamente mobili. In questi ultimi anni il Parlamento italiano ha legiferato sancendo giuridicamente la nascita di varie tipologie di lavoro: il contratto a tempo determinato, gli stage, i tirocini, il part-time, il lavoro interinale, le collaborazioni coordinate continuative e il contratto di formazione sono alcuni esempi; ci sono poi anche accordi contrattuali su orari ridotti, sul lavoro in azienda il fine settimana o, come previsto dall’articolo 42 del nuovo contratto firmato nel settore del commercio, il lavoro di 8 ore settimanali previsto per gli studenti lavoratori.

Molteplici forme di lavoro

Tali iniziative condotte sull’esempio americano hanno portato l’Italia a ridurre il tasso di disoccupazione. Tutti questi profili contrattuali sono passaggi importanti verso quella pluralizzazione di forme di lavoro e del suo stesso significato tali che, dato il riconoscimento giuridico, questi nuovi lavori come ad esempio il telelavoro, hanno oggi una dignità che può garantire nuove opportunità e la sicurezza per i lavoratori di non scivolare verso la precarietà o il lavoro nero.

Cambia la posizione dei sindacati

In questo scenario cambia la posizione del sindacato che deve muoversi mutando la tutela che deve passare dalla singola impresa al mercato del lavoro: il sindacato deve svolgere la sua funzione nella determinazione delle regole generali  riguardanti l’impiego, la formazione e le politiche attive per il lavoro.Il sindacato in futuro si interesserà sempre meno strettamente del rapporto di lavoro perché questo assumerà modalità e forme non più esclusivamente riconducibili alle relazioni sindacali. 

La società dei lavori è la società in cui si espandono e si moltiplicano le forme di tutela che escono dall’impresa: ciò rappresenta una sfida ed è compito del sindacato raccoglierla e vincerla.

Abbandonare l’idea del posto fisso

Dal punto di vista individuale, si tratta di abbandonare l’idea del “posto fisso” ed abbracciare quella delle migliori opportunità di fare carriera anche se in un contesto di maggiore insicurezza. Cambiano gli orizzonti di riferimento: occorre una formazione che non si concluda con la laurea ma che continui e si sviluppi sul campo. Fondamentale diventa la propensione alla mobilità individuale: proprio la formazione sul campo necessita di una “marcata flessibilità mentale” e delle capacità di non “ancorarsi” al territorio in cui si vive per cogliere tutte le occasioni che il mercato offre.

Dalla tesi di laurea, nel 2001, di Amedeo Lomonaco: “Limiti e potenzialità del fenomeno della globalizzazione per l’economia contemporanea”.