Conferenza di Varsavia sugli abusi: un impegno comune al fianco delle vittime

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Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Il saluto dell’arcivescovo Stanisław Gądecki e l’intervento del cardinale Seán Patrick O’Malley hanno aperto la Conferenza internazionale sulla salvaguardia dei bambini e degli adulti vulnerabili nelle Chiese dell’Europa centro-orientale.

Con un appello ad un impegno comune di tutta la Chiesa si è aperta oggi pomeriggio a Varsavia la Conferenza internazionale sulla salvaguardia dei bambini e degli adulti vulnerabili nelle Chiese dell’Europa centro-orientale. Organizzata dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei minori e dalla Conferenza episcopale polacca sul tema “La nostra comune missione di salvaguardare i bambini di Dio”, vedrà confrontarsi fino al 22 settembre vescovi, sacerdoti, superiori di congregazioni religiose maschili e femminili, psicoterapeuti ed esperti laici. Durante questa prima giornata è stato proiettato il videomessaggio del Papa il cui testo è stato pubblicato ieri dalla Sala Stampa vaticana. Inaugurando l’incontro, monsignor Stanisław Gądecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, ha citato le parole di Gesù nel Vangelo  di Matteo: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!” (Mt 18, 5-7).

Guarire dall’indifferenza

Gesù – ha affermato monsignor Gądecki – “usa parole molto dure contro quanti fanno del male ai bambini, ma anche contro coloro che potrebbero ignorare tale male”: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. È venuto infatti il Figlio dell’uomo a salvare ciò che era perduto”. (Mt 18,10-11). “Ci riuniamo qui – ha detto – per essere guariti dall’indifferenza e ancora di più dal disinteresse per l’ingiustizia”. Ha quindi ricordato che il Papa afferma che non si tratta solo di abusi sessuali, ma anche di abusi di potere e di coscienza: “Quando ho incontrato le vittime, ho sentito spesso storie in cui l’abuso sessuale è stato preceduto da una manipolazione volta ad ottenere una fiducia illimitata e quindi un potere sulla vita della persona, che è indifesa contro tale manipolazione”.

Abusi sessuali e abusi di potere

Colui che abusa, ha aggiunto il presidente della Conferenza episcopale polacca, “non di rado convince la vittima che ciò che la esorta e la costringe a fare non è sbagliato, anzi è giusto. In questo modo, l’abuso sessuale è spesso legato a un abuso di potere e di coscienza, approfondendo la devastazione che questo crimine provoca non solo nella psiche ma anche nell’anima della persona ferita”. Mons. Gądecki ha poi descritto l’impegno della Chiesa in Polonia nel campo della protezione dei bambini, della prevenzione degli abusi e dell’ascolto e dell’accoglienza delle vittime. Ogni diocesi e congregazione religiosa maschile ha un delegato con il compito di ricevere e segnalare casi di abusi. Dopo la pubblicazione del motu proprio “Vos estis lux mundi” di Papa Francesco, il loro ruolo è aumentato ulteriormente.

Riconoscere gli errori

E’ dunque in atto un processo di cambiamento – ha detto – ma esiste il rischio di pensare “che stiamo già facendo molto” mentre la realtà è che “di fronte all’enormità del dolore e al grande danno, molti sforzi eroici rimangono insufficienti” e “si scoprono nuovi drammi”. “Abbiamo anche bisogno di riconoscere onestamente che abbiamo fatto molti errori e anche trascurato quanti sono stati feriti nella Chiesa. Questo affrontare la verità non deve però portarci al disfattismo o alla disperazione. È necessaria la conversione pastorale di cui parla Papa Francesco, un cambiamento di pensiero e di azione in cui diventa prioritario accogliere e proteggere il bambino e aiutare le vittime”.

Un impegno comune

Monsignor Gądecki ha infine invitato alla speranza nella consapevolezza del comune impegno di tutta la Chiesa: “Siamo qui come laici, consacrati, presbiteri e vescovi. Solo in questo modo possiamo intraprendere fruttuosamente ed efficacemente questo importante e così impegnativo compito”.

Il cardinale O’Malley: servono cuori che ascoltano

Dopo il saluto di monsignor Gądecki, ha preso la parola il cardinale Seán Patrick O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori. Il porporato, soffermandosi sul tema della necessaria conversione pastorale, ha detto che si tratta di un cammino “essenziale per quella che Papa Francesco chiama la trasformazione missionaria della Chiesa”. Questo percorso di “conversione riconoscendo la verità di quanto accaduto”, non può prescindere dall’approccio “di un cuore che ascolta”. “Le persone che hanno ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti – ha detto il porporato – sanno quanto queste esperienze siano difficili e rappresentino una sfida”. “Personalmente – ha aggiunto – ho incontrato centinaia di sopravvissuti: le loro testimonianze sono strazianti, soprattutto quando raccontano che nessuno ha voluto credere loro quando per la prima volta hanno denunciato l’abuso”.

Riconoscere i sopravvissuti e chiedere loro perdono

Il porporato ha parlato del profondo rispetto con cui bisogna accogliere le testimonianze delle persone vittime di abusi. Si deve anche essere consapevoli del fatto – ha proseguito – che ci sono molte persone, “che hanno sofferto la tragedia dell’abuso sessuale nella Chiesa”, che “non hanno mai parlato con nessuno della loro esperienza”. Per raggiungere la conversione pastorale, si devono “riconoscere in maniera onesta e trasparente le persone che sono state abusate”. “Ascoltare il dolore degli altri, le sofferenze del popolo di Dio porta ad ammettere il torto fatto e le sofferenze inflitte”. Ed è importante “fornire ai sopravvissuti delle scuse sincere”. Ma ‘chiedere perdono’, ha sottolineato il cardinale O’Malley, “richiede altro che non rilasciare una dichiarazione o tenere un incontro”. Si tratta di un processo “che raramente si compie in un momento e che a volte non sarà compiuto mai”. “Ascoltare i sopravvissuti, riconoscerli e chiedere loro perdono sinceramente – ha concluso il porporato – sono passi indispensabili in questo percorso di rinnovamento”.

La testimonianza di due vittime

Il programma della prima giornata della Conferenza è proseguito con due testimonianze.  Padre Tarsycjusz Krasucki ha ricordato drammatici episodi avvenuti nel 1993, nel Focolaio di san Fra Alberto a Stettino, un centro fondato da don Andrzej Dymer. Un giorno, ha detto, il direttore lo convocò alle dieci di sera nel suo studio per parlare. Ma seguirono molestie e abusi. “Tutto questo in un’atmosfera di ricatto, poiché sapevo che potevo essere espulso dal focolaio”. Il giorno seguente padre Krasucki raccontò l’avvenuto agli altri ragazzi. “Dalla loro reazione – ha spiegato – compresi che anche a loro erano capitate situazioni simili”. Due anni dopo padre Krasucki è entrato nell’ordine francescano. Nel 2003 il religioso ha dato la sua testimonianza a Stettino al processo canonico. In quell’occasione un giovane sacerdote che faceva il notaio, si mostrò profondamente turbato dalle sue deposizioni. “E dopo tutto questo – gli chiese – hai comunque voluto il sacerdozio?”. “Sì. l’ho voluto – rispose – E sono intimamente convinto di aver fatto bene. Dio mi ha aiutato”.  Nell’Anno della Misericordia (2016) è stato nominato missionario della misericordia dal Papa. “È per me importantissimo – ha sottolineato – poter essere un canale di misericordia per gli altri. Allo stesso tempo mi sono convinto sempre più di quanto la misericordia necessiti della giustizia e debba fondarsi su di essa”.

Un’altra testimonianza è stata quella di una donna che ha raccontato di aver subìto abusi da parte di un sacerdote. Ha ricordato drammatici episodi avvenuti, quando era bambina, nella casa dei nonni. “Ricordo che mi sentivo stordita, confusa, non capivo bene cosa fosse successo”. “Ho vissuto la mia vita – ha spiegato – vergognandomi, ritenendomi responsabile”. “Ho convissuto con la depressione. Il mio matrimonio si è concluso con un divorzio”. La sua vita si è snodata anche attraverso anni di terapia. “Ho provato un senso di confusione per molto tempo. Ora, non aderisco a nessuna religione. Ho trovato la mia strada – ha concluso – verso Dio e la spiritualità”.

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