Proteste in Libia, intervista con mons. Martinelli

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Sempre più drammatica la situazione in Libia, dove non si placa l’ondata di proteste che ha portato, nelle ultime ore, agli attacchi contro la sede del Parlamento, il Palazzo del Governo e diversi edifici pubblici. Alle migliaia di manifestanti che sono scesi in piazza si sono aggiunti anche soldati. Fonti libiche parlano anche di un possibile golpe militare. Secondo gli ultimi bilanci, ancora provvisori, sono inoltre più di 300 le persone morte dall’inizio delle manifestazioni antigovernative. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

La protesta, dopo Bengasi, raggiunge Tripoli. Dalla capitale libica giungono notizie di edifici pubblici devastati, banche e negozi e saccheggiati. Secondo fonti locali, sono stati incendiati il Palazzo del Parlamento e quello del Governo. Anche le sedi della Radio nazionale e della Televisione pubblica sono state date alle fiamme e diversi soldati si sarebbero uniti ai manifestanti.

Bilancio sempre più grave

Ed il bilancio delle vittime, in tutto il Paese, è sempre più pesante. Gli ospedali di Bengasi, in particolare, hanno lanciato un accorato appello spiegando che non sono più in grado di soccorrere i feriti. Le testimonianze che arrivano da questa città parlano di “spaventosa carneficina”. A questo dramma si aggiungono poi altri preoccupanti segnali: Internet e le comunicazioni telefoniche sono interrotte in diverse aree del Paese e ad essere paralizzata è anche parte della produzione di greggio.

Incerta la sorte di Gheddafi

In Libia, membro del’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) e quarto produttore di petrolio in Africa, altri fattori di destabilizzazione sono inoltre innescati da possibili spaccature tra i clan. Il Paese, composto essenzialmente da clan tribali riuniti fra loro, vive infatti momenti di grande divisione anche sotto questo profilo. Contro il colonnello Muammar Gheddafi si sono già schierate le tribù del sud. Sulla sorte del leader libico, intanto, si susseguono diverse voci. Secondo alcune fonti sarebbe rimasto a Tripoli, secondo altre, invece, sarebbe fuggito in Venezuela.

Discorso di Saif al Islam

Per tentare di fermare la rivolta Saif al Islam, figlio di Muammar Gheddafi, è intervenuto ieri alla tv pubblica. Ha promesso riforme, una nuova Costituzione e affermato di comprendere le ragioni dei manifestanti. Ma ha anche parlato di un complotto ordito dall’estero e avvertito che, se la protesta non rientrerà, la guerra civile sarà inevitabile e i morti saranno migliaia. Le dichiarazioni del figlio di Gheddafi sono analizzate in queste ore con particolare attenzione dall’intelligence degli Stati Uniti per cercare di capire se ci sono prospettive reali per una significativa riforma.

Nuove ondate migratorie

A Bruxelles, infine, sono riuniti i ministri degli Esteri dell’Unione Europea, che sta elaborando un piano di evacuazione dei cittadini europei dal Paese. Germania e Gran Bretagna condannano la repressione, la Finlandia sollecita sanzioni e l’Italia chiede che sia mantenuta e difesa l’integrità territoriale del Paese. Si temono anche nuove ondate migratorie dalle coste del Nord Africa verso quelle dei Paesi della sponda opposta del Mediterraneo.

Intervista con mons. Martinelli

Dalla Libia, oltre a notizie incomplete e frammentarie, arrivano anche testimonianze telefoniche di giovani che chiedono cambiamenti tangibili. Ma quali sono le richieste che accompagnano questa dura protesta alla quale aderiscono soprattutto le nuove generazioni? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, raggiunto telefonicamente nella capitale libica:

R. – La Libia non è un Paese povero come l’Egitto, come la Tunisia. Ci sono delle richieste giuste per cui il popolo reclama. E le richieste sono le richieste fondamentali dei giovani: poter avere una casa, poter avere uno stipendio migliore, poter avere un posto di lavoro. Sono tutte richieste giuste, però la Libia – forse a differenza di altri Paesi – ha la possibilità di soddisfare queste richieste, perché è un Paese che sta bene. E’ qui forse che nasce un po’ la crisi nei giovani che vedono un Paese che potrebbe fare, ma che secondo loro purtroppo non li aiuta.

La Chiesa in Libia

D. – Come vive la Chiesa in Libia questi momenti di grande tensione?

R. – Per quanto riguarda la Chiesa, in generale, non ci sono problemi particolari. Qualche difficoltà, invece, l’abbiamo a Bengasi, dove si trovano le suore in diverse località. Le comunità religiose e le suore lavorano negli ospedali, lo fanno anche con dedizione e vogliono anche restare. Lavorano tutte quante con generosità, in situazioni difficili, soprattutto negli ospedali. Le autorità sanitarie e il popolo sono vicini a queste religiose, che donano se stesse in questo servizio. Anche i sacerdoti sono rimasti in loco, dove ci sono cristiani, soprattutto filippini. Tutti sono rimasti e tutti vogliono continuare a rimanere, finché sarà possibile, proprio anche per essere a servizio del popolo libico.

Prospettive

D. – Qual è a questo punto il cammino auspicabile per la Libia?

R. – E’ difficile poter discernere un cammino. Noi desideriamo – e lo vogliamo proprio con tutto il cuore – una forma di riconciliazione, affinché il popolo libico abbia veramente quello che è giusto. Questa crisi, io la chiamo una crisi generazionale: ci sono tanti giovani che hanno bisogno della casa, del lavoro, etc… Ma è importante ritrovare una fase di dialogo tra le parti.

Proteste e Internet

D. – Motore della protesta in vari Paesi arabi è stata la rete di Internet, che nelle situazioni di crisi, però, non sempre è attiva. E’ così anche in Libia?

R. – Internet non mi sembra che funzioni in questo momento ed io mi rendo conto che è importante per comunicare. Purtroppo c’è la zona di Beida, a 200 chilometri da Bengasi, dove da due giorni non riesco a comunicare con le suore. Ci sono due comunità religiose e non riusciamo a comunicare sia telefonicamente sia attraverso Internet.

L’impegno dei laici

D. – Abbiamo parlato dell’impegno in Libia dei religiosi. A questo si deve aggiungere anche quello di tanti laici…

R. – Sì. Ci sono le suore che fanno tanto, ma ci sono anche tanti laici. Ci sono tante donne filippine che lavorano negli ospedali e nelle diverse zone, anche le più isolate nel deserto, e lo fanno con tanta passione, in nome della fede e in nome della fraternità.

Foto:

By Ted (Flickr: Protesting Libya outside the White House) [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons

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