Centrafrica. Il nunzio: c’è tensione, non la guerra

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

La Repubblica Centrafricana è stata scossa, recentemente, da drammatici episodi di violenza: lo scorso 11 giugno si sono registrati scontri tra ex membri del gruppo ribelle Seleka e forze dell’ordine. A Bangui, inoltre, sono stati sequestrati sei poliziotti, poi rilasciati. Si tratta, in realtà, di episodi che non si possono paragonare allo scenario di guerra che, soprattutto nel 2013 e nel 2014, ha sconvolto la Repubblica Centrafricana. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il nunzio apostolico nel Paese africano, mons. Franco Coppola:

 

R. – Quello che è successo in queste ultime settimane non ha niente a che vedere con la vera e propria guerra che c’era l’anno scorso tra le varie fazioni. Sono sussulti in vista di un aggiustamento. Il grande problema che sta affrontando il governo, e che tutti si pongono, comprese le milizie, è quello della fine di queste ultime, quindi del loro disarmo. Però non è ancora chiaro il programma del disarmo. E, di conseguenza, ognuno cerca di mettersi in una posizione di vantaggio, per poter poi negoziare da una posizione di maggiore forza. E quindi possono capitare scontri, ma questi non hanno veramente nulla a che fare con quello che avveniva nei mesi scorsi.

Incendiate decine di abitazioni

D. – Parliamo proprio di questi episodi che lei ha definito “sussulti”. Cosa è successo?

R. – È successo nel nord del Paese: un gruppo di ex Seleka stava scortando una mandria per farla passare nel vicino Camerun. Attraversando un villaggio, è stato bloccato dai gendarmi locali che lavoravano, in quel caso, insieme con l’altra milizia, la milizia sedicente cristiana, nemica di Seleka. Li hanno bloccati e ne hanno uccisi sette su otto. L’ottavo è riuscito a scappare e ha chiamato rinforzi e il resto del gruppo è arrivato e si è vendicato incendiando alcune decine di abitazioni del villaggio. La popolazione ovviamente è scappata e si è rifugiata presso i Padri cappuccini che hanno una missione proprio in quel paese.

Ordine ristabilito dai soldati dell’Onu

Poi, i soldati della missione Minusca – le forze internazionali, i Caschi Blu – sono intervenuti e hanno ristabilito l’ordine. Tutto è nato dal fatto che i gendarmi non hanno svolto il ruolo che era loro richiesto come gendarmi. Erano invece implicati con gli anti-balaka a fermare il movimento della mandria. Questa, di per sé, è una cosa normale in questa stagione. Bisogna anche dire che ci sono delle informazioni che ho ricevuto, secondo le quali il capo degli anti-balaka è anche lui un proprietario di grandi mandrie. Quindi, probabilmente, aveva interesse a prendersi la mandria.

Ancora violenze al kilometro 5

D. – Un altro drammatico episodio è avvenuto nel quartiere del “kilometro 5” a Bangui…

R. – Anche quello è un episodio ancora non perfettamente chiarito. C’è stato un controllo da parte della gendarmeria su un camion che entrava a Bangui. Alcuni degli occupanti – dei “Peuls”, un’ etnia fondamentalmente musulmana e che si occupa di allevamento – sono stati trovati senza documenti. Per questo sono stati arrestati. Altre voci dicono che su questo camion sono state trovate delle armi. Ma, al momento, non sono voci confermate. Sono stati arrestati. Questo ha creato la reazione da parte dell’autodifesa musulmana del “kilometro 5”. Autodifesa che, per ottenere la liberazione dei loro compagni arrestati, ha attaccato il commissariato vicino al “kilometro 5”. Poi ha sequestrato lo stesso numero di poliziotti, ovvero sei. Ci sono stati momenti di grande tensione. La Minusca è intervenuta con un’operazione molto dura nel “kilometro 5” contro la banda che aveva osato prendere in ostaggio dei poliziotti. Ci sono stati dei morti tra i banditi.

Lungo cammino verso stato di diritto

Poi, nel corso della settimana, i poliziotti sono stati rilasciati. Sono tutti – come dicevo – sussulti di passaggio da uno stato di guerra, in cui quello che conta è quello che si ottiene con le armi, ad uno stato di diritto, in cui le armi le deve usare soltanto la forza pubblica, e deve farlo secondo la legge. C’è il problema che la forza pubblica non è ancora preparata ad assumere questo ruolo: non bisogna dimenticare che il Centrafrica è  un Paese in cui tutte le forze di sicurezza e le Forze armate sono state sciolte dalle Nazioni Unite perché erano deviate.

Situazione in miglioramento

La grandissima differenza che noto tra questi eventi e quello che succedeva negli anni scorsi, è che, negli anni passati, un evento come quello a Bangui – l’arresto di alcuni “peuls armés” (armati) – avrebbe portato a una reazione violentissima da parte dell’autodifesa, e contro la popolazione di Bangui. Invece questa volta si sono, per così dire, limitati ad attaccare il commissariato, e a prendere esattamente lo stesso numero di ostaggi per poterli poi scambiare. La reazione non coinvolge più la popolazione: credo che questa sia una grande conquista.

Violenze non di matrice religiosa

D. – C’è anche da dire, eccellenza, che questi episodi vanno dunque letti nell’ambito del passaggio difficile, cruciale, dallo stato di guerra a quello di diritto, e non hanno alcuna matrice religiosa…

R. – No infatti, assolutamente. Non hanno proprio nessuna matrice religiosa. Sono, in parte, episodi di criminalità comune. Quello che è successo al nord era soltanto un fatto di furto di bestiame. Al sud, alle porte di Bangui, è stato un problema di rapporti tra le Forze dell’ordine e le milizie.

Il governo deve essere sostrenuto

D. – Dunque uno scenario in cui si cerca faticosamente di promuovere un clima di serenità, possibilmente di pace, sulla scia anche del viaggio di Papa Francesco proprio nella Repubblica Centrafricana…

R. – Parlare di serenità e di pace mi sembra un po’ eccessivo… Però, certamente, diciamo che non c’è più questo clima di separazione tra le due comunità religiose: questo è superato, nel modo più assoluto. Ormai – chiaramente – il confronto è tra Forze armate dello Stato, anch’esse illegali, e le forze e milizie. La popolazione non si fa coinvolgere. E anche queste forze sanno benissimo che devono cedere il passo alla legalità. Sono i sussulti di un’abitudine presa in tre anni di illegalità e, piano piano, sicuramente questo rientrerà. Il governo ha molto bisogno di essere aiutato, perché non è per niente facile – purtroppo – avanzare su un campo così minato.

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