Allarme nucleare in Giappone

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

 Un’ennesima scossa di assestamento ha colpito il nord est del Giappone. L’epicentro del sisma, di magnitudo 5,8 gradi della scala Richter, è stato registrato nella prefettura di Fukushima, dove si trova la centrale nucleare danneggiata dal terremoto dello scorso 11 marzo e dal conseguente maremoto che hanno provocato, secondo un bilancio ancora provvisorio, almeno 13 mila morti e oltre 14 mila dispersi. Desta sempre maggiore preoccupazione l’emergenza nucleare. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Le autorità giapponesi hanno elevato il livello di pericolo da 5 a 7, il grado più alto nella scala dei disastri atomici, equiparandolo a quello nel 1986 della centrale nucleare di Chernobyl. Ma anche se i due incidenti sono stati catalogati allo stesso livello – rende noto l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) – la situazione a Fukushima è “completamente diversa” da quella di Chernobyl.

Intervista con Massimo Salvatori

Su analogie e differenze tra i due disastri, si sofferma il dott. Massimo Salvatori, vice presidente dell’Associazione Italiana Medicina Nucleare e docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore:

R. – “Questi indici di gravità di livello 7 indubbiamente generano confusione. Sicuramente, da un punto di vista tecnico – facendo riferimento alla scala degli eventi nucleari e radiologici sono equiparabili. Però, ovviamente, possiamo pensare fin da oggi, anche se forse è azzardato sbilanciarsi, che le conseguenze cliniche sulla salute saranno enormemente diverse. Un conto è l’emissione di una certa quota di radioattività nell’ambiente e un conto sono le conseguenze cliniche. Per le conseguenze cliniche concorrono tanti fattori. Non basta solo un certo quantitativo di radioattività emesso nell’ambiente”.

Differenze tra Chernobyl e Fukushima

“Faccio l’esempio di Chernobyl. A Chernobyl fu emessa una grossa quantità di radioattività nell’ambiente, però esistevano tante condizioni purtroppo sfavorevoli che hanno portato ad alcune gravi conseguenze, in particolare ai tumori tiroidei nei bambini. Per quanto riguarda Fukushima, la situazione è sicuramente diversa. Pur essendo di stesso livello tecnico, le conseguenze cliniche saranno sicuramente diverse”.

Emissioni radioattive

D. – L’Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare ha subito precisato che le emissioni radioattive registrate dall’inizio della crisi equivalgono a circa il 10 per cento di quelle misurate nel 1986 a Chernobyl…

R. – “Esatto, e non solo questo dato è rilevante. Faccio un paragone con Chernobyl probabilmente calzante. I tumori della tiroide nei bambini furono determinati da una serie di circostanze. Primo: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, all’epoca non aveva un programma di prevenzione del gozzo tiroideo con la diffusione dello iodio nell’alimentazione e, quindi, le tiroidi dei bambini erano molto ricettive allo iodio. Secondo: non fu attuato, a differenza della Polonia, un programma di blocco della tiroide nei bambini e terzo, cosa ancora più grave, i bambini continuarono a bere latte consumato e prodotto dalle fattorie locali. Era latte ottenuto da bestiame che aveva pascolato e si era nutrito di erba contaminata dalla ricaduta del fall out radioattivo”.

Radioattività e conseguenze cliniche

“Questi tre eventi, clamorosamente sbagliati, concorsero a quelle conclusioni. Oggi questi errori non si rifarebbero più. L’equazione ‘quantità di radioattività emessa nell’ambiente e conseguenze cliniche’ non è così diretta: pur essendo, da un punto di vista tecnico, la stessa gravità, le conseguenze cliniche non potranno essere sicuramente le stesse. L’esperienza di 25 anni fa ha insegnato molto in questo, a parte le condizioni sociopolitiche diverse, tecniche. A Chernobyl esplose la centrale e rimase attiva per tanti giorni una colonna di radioattività che si innalzò per decine di chilometri. Uno scenario enormemente diverso”.

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