© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Il Natale in Iraq è accolto dalla comunità cristiana con gioia, ma anche con trepidazione per i crescenti timori per attacchi e attentati che continuano ad essere fonte di grande sofferenza tra i fedeli. E’ quanto sottolinea mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intervistato da Amedeo Lomonaco:

R. – Noi siamo ancora sotto shock dopo l’attentato contro la cattedrale siro-cattolica di Baghdad. La gioia della nascita del Signore è unita alla paura e alla tristezza, perché non potremo celebrare le Messe durante la notte e quest’anno non potremo celebrarle a Kirkuk, a Mosul e a Baghdad. Forse nel Nord sarà possibile, perché è un’area più sicura. Anche durante la giornata non faremo festa. Le autorità politiche di solito vengono a fare gli auguri, ma quest’anno abbiamo chiesto di non farlo, perché la situazione è di lutto per tutta la comunità cristiana. C’è paura perché non c’è sicurezza. Dunque, è un Natale un po’ diverso rispetto agli altri: c’è speranza per la pace ma è una speranza veramente molto fragile.

Arginare l’esodo dei cristiani

D. – E poi, tra le speranze, c’è anche quella che si possa arginare quest’esodo dei cristiani dall’Iraq che, purtroppo, ancora continua…

R. – Sì. Adesso le famiglie si recano verso il Nord e al di fuori dell’Iraq nella speranza di poter trovare altrove una soluzione ai loro problemi. Noi, come Chiese, vogliamo fare di tutto per aiutare queste famiglie, pastoralmente, spiritualmente ma anche materialmente.

Insegnamenti dalle famiglie

D. – Cosa possono insegnare, a noi, queste famiglie cristiane irachene che, con la loro fede, superano enormi difficoltà?

R. – Penso che i cristiani dell’Occidente debbano pensare a rivedere il loro impegno di cristiani: la fede è un impegno d’amore quotidiano, non un’ideologia o una speculazione. La fede è un contatto personale con il Signore che noi amiamo tanto e malgrado la sofferenza, la persecuzione e la paura, restiamo fedeli a Lui. Da ormai sette anni, nonostante tutto il dolore subìto, non abbiamo mai sentito che un cristiano abbia lasciato la sua fede. La fede è una grande forza.

Natale in Russia

Il Natale in Russia è anche un tempo di ulteriore vicinanza e dialogo tra cattolici e ortodossi, come spiega al microfono di Amedeo Lomonaco il nunzio apostolico nella Federazione Russa, mons. Antonio Mennini, recentemente nominato rappresentante della Santa Sede in Gran Bretagna:

R. – “E’ interessante vedere che molti sacerdoti ortodossi, in modo certamente discreto, vengono ad assistere alla nostra liturgia. Non si tratta soltanto di uno spirito di curiosità. Sono spinti dalle ricchezze che la Chiesa latina può offrire loro nella sua liturgia, nelle sue prediche ed anche nei suoi canti. Direi poi che c’è un altro elemento legato alla nostra tradizione natalizia: quello del presepe, che si va molto estendendo anche tra gli ortodossi. Sono venuto a sapere da alcuni parroci cattolici, non solo del circondario di Mosca, che diversi fedeli e molti vescovi e sacerdoti ortodossi iniziano a fare il presepe, anche se lo allestiscono all’esterno della Chiesa, perché si tratta di una tradizione, per loro, ancora recente”.

Il Natale e i legami familiari

“Si aprono, però, a questo senso, a questa nuova tradizione che sottolinea anche il carattere dell’intimità, del calore del Natale, a questo senso del ritrovare i legami familiari. Devo dire inoltre, con soddisfazione, che da un po’ di tempo anche nelle parrocchie ortodosse sono state aperte le mense per i poveri. Purtroppo questo sottolinea la condizione di disagio economico e sociale presente in Russia, però rileva soprattutto il senso del dovere del cristiano di farsi carico delle necessità del fratello”.

Speranze per il popolo russo

D. – Quali le speranze, oggi, del popolo russo?

R. – La speranza di molti, come ha detto anche il Patriarca ortodosso Kirill, è che si ritorni alla pace tra tutte le componenti della società. Ciò non vuol dire nascondere i problemi ma impegnarsi, tutti, per cercare di risolverli, rendendo più efficace la giustizia, la partecipazione e la distribuzione dei mezzi e delle ricchezze, perché a tutte le etnie venga data la possibilità di affermarsi dal punto di vista sociale in modo degno, soprattutto per quanto riguarda il futuro dei propri figli.

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