Vescovi del Cile: atteggiamenti xenofobi vanno contro la dignità umana

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Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews I vescovi della Conferenza episcopale cilena ricordano e condannano, in una dichiarazione, gli episodi di violenza avvenuti recentemente, nel nord del Paese, contro un gruppo di immigrati. Monsignor Alberto Lorenzelli, vescovo ausiliare di Santiago: servono politiche serie che promuovono la cultura dell’incontro e dell’accoglienza.

“Osservare atti di aggressione contro persone in situazioni di vulnerabilità, compresi bambini e adolescenti, mentre si grida ‘viva il Cile’, ci riempie di vergogna e stupore. Questo non è il Cile a cui tutti aspiriamo”. Si apre con queste parole la Dichiarazione del Comitato permanente della Conferenza episcopale cilena dopo gli episodi di violenza commessi, nei giorni scorsi, contro un gruppo di immigrati nella città di Iquique, nel nord del Paese. I dimostranti hanno bruciato tende, materassi ed effetti personali dei migranti, soprattutto venezuelani, e hanno protestato contro la presenza di stranieri in Cile. Le dure dimostrazioni sono state precedute il 24 settembre, sempre a Iquique, da drammatiche scene durante lo sgombero di migranti nell’ex “plaza Brasil” con percosse anche a minorenni e donne incinte. Riferendosi a quanto avvenuto ad Iquique, i vescovi cileni ricordano che l’arrivo di numerosi migranti in certe località può rendere difficile la convivenza. Ma è necessaria un’azione coordinata delle autorità locali e nazionali per affrontare una situazione che non può essere lasciata alla deriva.

Migrare è un diritto

Atteggiamenti violenti danneggiano la dignità umana: “una mentalità xenofoba e ripiegata su se stessa non può prevalere sulle convinzioni più profonde della fede”. “Non possiamo dimenticare – spiegano i presuli nella Dichiarazione – che dietro la migrazione ci sono situazioni di povertà, violenza e crisi da cui le persone fuggono. Per questo la migrazione non è solo un fatto doloroso, ma anche un diritto umano: le persone hanno il diritto di cercare una vita migliore e di fuggire dalla disperazione”. Il documento pubblicato dai vescovi del Cile contiene anche un accorato appello: “Chiediamo alle autorità – scrivono i presuli – di farsi carico del problema migratorio, offrendo spazi di accoglienza in condizioni dignitose, per non caricare le comunità locali di situazioni urbane indesiderate. “Chiediamo di facilitare i processi di regolarizzazione secondo la legge e di coordinare le azioni internazionali a livello regionale per affrontare insieme il problema. Siamo tutti d’accordo che la migrazione deve essere regolata, ma regolare non è lo stesso che proibire”. “La migrazione – sottolineano infine i vescovi cileni – non deve essere vista solo come una minaccia, ma come un’opportunità per costruire un futuro di pace”.

Monsignor Lorenzelli: nessun essere umano è illegale

Il vescovo ausiliare di Santiago, monsignor Alberto Riccardo Lorenzelli, sottolinea a Vatican News che quanto accaduto a Iquique “tocca profondamente e duramente il cuore di tutta la popolazione”. Ma quello cileno, aggiunge, è “un popolo accogliente, un popolo che sa esprimere solidarietà e vicinanza”.

I gesti di violenza visti a Iquique sono il segno di una situazione preoccupante che, come scrivono i vescovi cileni, “non può essere lasciata alla deriva”…

Ciò che è successo nella città di Iquique indica una situazione di difficoltà di fronte alle grandi migrazioni che stanno avvenendo in Cile, soprattutto dopo la pandemia.  Colpisce moltissimo quello che è successo: ci sono manifestazioni contro qualsiasi forma di immigrazione, ma ciò che ha un maggiore impatto è la violenza. Sono stati bruciati e distrutti i beni (tende ed effetti personali) appartenenti a queste povere persone che sono alla ricerca di poter offrire un benessere alle loro famiglie e ai loro figli. Nessun essere umano è illegale, soprattutto quando la fame e la disperazione colpiscono tante persone che sentono il bisogno e la preoccupazione forte di dare un minimo di benessere e sicurezza elle loro famiglie.

In Cile, nonostante le ombre e questi episodi di violenza avvenuti a Iquique, i verbi indicati più volte da Papa Francesco quando si parla di migranti – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – possono trovare, anche grazie alla Chiesa, risposte concrete nella società?

La Chiesa del Cile è fortemente impegnata a voler creare la cultura dell’incontro, come chiede Papa Francesco. Una cultura che ci porti a capire che siamo cittadini del mondo. Non siamo noi proprietari di un pezzo di terra e, soprattutto, di fronte alla disperazione e al dolore devono veramente esserci questo impegno, questa volontà e questo desiderio di accoglienza. Bisogna evitare, cancellare qualsiasi forma di xenofobia. In questo credo che le parole di Papa Francesco, che ci invita veramente all’accoglienza e ad avere questa attenzione, siano un invito forte rivolto alla nostra Chiesa, al nostro popolo cileno. L’anima dei cileni non è questa della violenza. È un popolo accogliente, un popolo che sa esprimere solidarietà e vicinanza. Ma quello che abbiamo visto tocca profondamente e duramente il cuore, non solo di noi cristiani ma di tutta la popolazione cilena.

Quale è l’appello della Chiesa allo Stato cileno per la gestione della crisi migratoria?

Tutto questo richiede una politica seria che forse in questo non siamo stati in grado di saper creare. Serve una cultura dell’incontro, dell’accoglienza. Ci vogliono politiche serie per offrire veramente una qualità di vita alle persone che vengono nel nostro Paese. La disperazione e la difficoltà, che vivono altri popoli dopo questa pandemia, esigono veramente che le politiche del governo cileno e degli altri governi generino, in un dialogo più aperto, questa accoglienza e questa disponibilità. E questo richiede norme sicure. E il rispetto delle persone.

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