Congo: aiuti umanitari nella zona di guerra

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Nella Repubblica Democratica del Congo un convoglio umanitario dell’ONU è arrivato a Rutshuru, città divenuta roccaforte dei ribelli. Ma l’offensiva nella regione del Nord Kivu delle milizie guidate dall’ex generale Nkunda, che rifiuta ogni negoziazione, continua a provocare terribili sofferenze tra la popolazione. La situazione umanitaria è resa drammatica anche per le gravi difficoltà incontrate dal contingente delle Nazioni Unite nelle operazioni di peacekeeping e per le violenze compiute anche da soldati dell’esercito regolare congolese allo sbando. Chi abbandona le proprie case deve poi affrontare altre piaghe quali le malattie e le intense piogge. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo LomonacoBeatrice Luccardi, della Cooperazione internazionale Sud-Sud (CISS), presente con vari progetti nella Repubblica Democratica del Congo:

 

R. – Ci sono masse di popolazione costrette a spostarsi; adesso è la stagione delle piogge, quindi il cammino diventa estremamente difficile: lungo la strada in molti trovano il fango, le malattie. Molte persone che arrivano non hanno nessun tipo di infrastrutture e vengono spesso soccorse grazie all’aiuto della popolazione del luogo. E’ veramente difficilissimo calcolare il numero di vittime.

La popolazione e i soldati dell’Onu

D. – In questa drammatica situazione può poi apparire paradossale, agli occhi degli osservatori esterni, l’atteggiamento critico di parte della popolazione locale verso i soldati dell’ONU…

R. – L’atteggiamento della popolazione pare incomprensibile di fronte ad una missione che ha fatto molte cose buone: ha difeso i civili a Bunia, nel 2002, ha aperto di nuovo la via fluviale sul fiume Congo. Il problema è che in questa situazione particolare del Nord Kivu, il gruppo ribelle avanza e conquista delle posizioni. I tempi di reazione da parte delle autorità di Kinshasa, da parte delle autorità locali dell’ONU, sono tali che quando arrivano ormai è troppo tardi. Quindi le persone non capiscono, e chiedono: “Ma siete qui, perché non ci aiutate, perché arrivate tardi?” Questo, le persone del luogo, che hanno alle spalle più di dieci anni di guerra quasi ininterrotta, non riescono a capirlo.

Razzie e violenze da parte dei soldati

D. – Poi, oltre alla drammatica avanzata dei ribelli, c’è anche, dall’altra parte, un esercito allo sbando. Soldati che, senza coordinamento, possono anche compiere razzie e violenze.…

R. – Negli ultimi sei anni, è stato fatto un grandissimo lavoro nel riformare l’esercito con l’aiuto della comunità internazionale, ma quando anche questi soldati si ritrovano magari a combattere in una zona che non conoscono, dove non capiscono se la popolazione li sostiene o no, si sentono un po’ abbandonati; allora, può succedere che si lascino andare a forme di abuso.

Reclutamento dei bambini

D. – A proposito di forme di abuso, alcune tra le più turpi sono quelle del reclutamento forzato di bambini. Quanto è presente in Congo il fenomeno dei bambini soldato?

R. – Il problema è stato molto forte durante la guerra civile, anche perché poi c’è quell’aspetto giovanile di voler intervenire, di voler reagire, che sicuramente ha contribuito all’arruolamento. Ci sono adesso delle denunce da parte di vari organismi, agenzie internazionali. Secondo varie organizzazioni i ribelli, che continuano a combattere nel Nord Kivu, hanno addirittura ripreso i bambini che erano stati riportati alla vita civile dall’UNICEF e da altre agenzie.

Foto:

By Julien Harneis [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons

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