Europa: tasso di natalità in crescita

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Europa il numero di figli per donna è passato da 1,4 nel 2008 a 1,6 nel 2010. Ma si tratta comunque di un valore ancora inferiore a quello di 2,1 necessario per mantenere stabile una popolazione. E’ quanto emerge dal “Terzo rapporto demografico” pubblicato recentemente dalla Commissione Europea. Su questo e altri dati del dossier si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il prof. Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia presso la facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli studi di Milano Bicocca: 

R. – Sembra che ci sia un moderato recupero, ma ciononostante siamo a livelli ancora largamente inferiori a quella che è la soglia che garantirebbe il ricambio generazionale, arrivando, quantomeno, a mantenere una qualche stabilità nella popolazione europea.

Natalità e flussi migratori

D. – Dunque c’è un moderato recupero, ma è necessario un ampio flusso migratorio per evitare che a lungo termine si riduca la popolazione europea?

R. – Sarà necessario ricorrere all’immigrazione, ma la soluzione della caduta della fecondità non dobbiamo cercarla solo attraverso l’”importazione” di popolazione immigrata, ma bisognerebbe rivitalizzare la famiglia ad esempio, dando una mano a quelle famiglie e a quelle coppie che hanno desiderio di avere dei figli, ma poi per vari motivi non lo realizzano.

Crisi economica

D. – A proposito di questo: nello studio si sottolinea che negli ultimi 30 anni è aumentata significativamente l’età media delle donne al momento del primo figlio: il dato più elevato – pari a 31,2 anni – riguarda l’Irlanda. E’ la crisi economica la principale responsabile di questa tendenza?

R. – E’ uno dei fattori condizionanti. Non è solo quello, ma c’è anche un elemento legato a volte al Welfare, a volte allo stesso clima culturale che poi non è cosi aperto alla famiglia e alla famiglia con figli. Io credo che si debbano recuperare tutte queste dimensioni, perché è estremamente importante che la fecondità nei Paesi europei raggiunga almeno quei livelli di ricambio generazionale che ci garantiscono una qualche forma di stabilità.

Nuovi modelli di famiglia

D. – Il 41 per cento di tutte le nascite negli Stati Uniti ha riguardato donne non sposate: un dato, questo, che fa riflettere…

R. – Sì, ma un dato di questo genere lo traviamo tranquillamente anche nei Paesi europei. Questo dipende spesso da forme di convivenza che, di fatto, si pongono come alternativa al matrimonio. Dietro c’è chiaramente un modello culturale che sta avanzando e che non vede il matrimonio come modello normale nella formazione familiare.

Invecchiamento della popolazione

D. – Attualmente la popolazione dell’Unione Europea ha un’età media pari a 40, 9 anni e nel 2060 si stima che salirà a 47,9. Questo cosa potrà implicare?

R. – L’innalzamento della componente anziana è un fenomeno innescato da tempo. Bisognerà abituarsi a vivere in una società in cui ci sia una maggiore componente anziana e soprattutto – spero – a fare in modo che questo non diventi un peggioramento della qualità della vita.

Controllo delle nascite e povertà

D. – A proposito di qualità della vita: in alcuni Paesi del mondo sono state lanciate delle campagne per il controllo delle nascita con l’obiettivo di arginare la povertà. Ma la povertà – come ha ricordato anche l’arcivescovo Chullikat nel suo recente intervento all’Onu – non si sconfigge impedendo ai poveri di avere figli…

R. – La povertà si sconfigge combattendo la povertà, creando cioè le condizioni ambientali, economiche: tutto ciò che in qualche modo crea sviluppo umano e quindi consente di uscire dalle condizioni di povertà e di esclusione sociale.

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