Truppe irachene a Falluja, islamisti in difficoltà

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Iraq sono ore decisive per la riconquista della città di Fallujah, dal 2014 nelle mani del sedicente Stato Islamico. L’esercito iracheno, con il sostegno di miliziani sciiti sta attaccando su tre fronti. Resistono i jihadisti mentre si teme per la sorte di 50 mia civili.  Sul significato delle operazioni militari a Falluja e nella zona di Raqqa, Amedeo Lomonaco ha intervistato Stefania Azzolina, analista del Centro Studi Internazionali, esperta di Nord Africa e Medio Oriente:

 

R. – Falluja, dopo la presa di Ramadi, è l’unica roccaforte in mano allo Stato Islamico nella provincia di Al Anbar. Una buona percentuale di tutti gli attentati nell’area circostante Baghdad avveniva grazie a questo sostegno logistico di cui lo Stato Islamico godeva a Falluja. Quindi la presa di Falluja rappresenterebbe un passo importantissimo per la “bonifica” di questa a regione, in questo momento sotto la stretta osservazione delle forze di sicurezza che stanno cercando di arrivare al confine siriano per cercare di rompere la continuità territoriale dello Stato Islamico tra Siria ed Iraq.

Scenario siriano

D. – Uno scenario simile si registra proprio in Siria, dove è iniziata un’offensiva che dovrebbe portare, poi, alla liberazione di Raqqa. Anche questa è una operazione fondamentale per rompere le ultime difese dello Stato Islamico…

R. – Raqqa rappresenta la capitale dello Stato Islamico e in questo momento ci sono forze curde che stanno scendendo da settentrione verso sud:  in questo momento vi è una operazione volta a liberare il sobborgo a nord di Raqqa. Anche in questo caso, stiamo comunque assistendo ad una avanzata delle forze peshmerga. Questa operazione è fondamentale per poi pensare ad una pianificazione su Raqqa, che di fatto rappresenterebbe – appunto – una delle grandi battaglie finali contro lo Stato Islamico. Non bisognerà soltanto guardare alla capacità di penetrare all’interno del centro cittadino, ma sarà anche fondamentale la fase di stabilizzazione della stessa cittadina.

Stato di impasse nei negoziati

D. – Mentre sul versante del terreno si nota comunque un certo dinamismo che è quello tipico delle fasi cruciali, prosegue invece lo stallo soprattutto sul fronte dei negoziati: in queste ore si è dimesso il capo negoziatore dell’opposizione siriana. La porta del dialogo sembra, purtroppo a questo punto, esclusa e si procede solo sul versante militare?

R. – In realtà non è possibile escludere del tutto l’opzione diplomatica: un accordo a livello internazionale dovrà esserci. E parlo soprattutto per quanto riguarda il caso siriano, perché in Siria si innescano diversi interessi regionali e quindi in questo caso l’Iran, l’Arabia Saudita, ma anche la Turchia e la Russia, che tante influenze hanno nel contesto siriano. La Siria rappresenta uno di quei “teatri terzi” del Medio Oriente, in cui si stanno definendo quelli che saranno gli assetti politici del nuovo equilibrio che ci si augura la regione mediorientale troverà da qui a diversi anni.

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