Crisi in Libano, intervista con p. Samir Khalil Samir

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Libano prosegue l’offensiva israeliana, anche se ieri il consiglio di Sicurezza di Gerusalemme ha concesso qualche giorno all’azione diplomatica. Il Sulla drammatica situazione umanitaria che si è venuta a creare in tutto il Medio Oriente, ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, il padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura araba e Islamologia all’Università Saint-Joseph di Beirut:

 

R. – Ormai il Libano, che è già piccolissimo, uno dei più piccoli Paesi del mondo, è diviso in una decina di paesini. Non si riesce a passare da un villaggio all’altro, perché tutte le strade sono tagliate, oltre al fatto che la benzina è aumentata dieci volte di più e in certe zone 50 volte di più o non ce n’è più.

Un Paese isolato

D. – Un Paese, dunque, isolato dove la distruzione è causata non solo dagli attacchi israeliani, ma anche dalle pretese degli Hezbollah?

R. – Materialmente la distruzione è unicamente d’Israele. Hezbollah può essere considerato come quello che ha provocato la reazione israeliana. E’ la reazione israeliana, però, che ha causato distruzione. Hezbollah ha un’immensa responsabilità, perché in realtà sta usando il Libano per raggiungere i suoi scopi, che non sono quelli del Libano. Israele ha approfittato di questo pretesto per dire: “Dobbiamo sradicare definitivamente Hezbollah, come Hamas”. Questa è la visione discutibile, la tattica, secondo me, d’Israele. Perché – per utilizzare il linguaggio israeliano e nordamericano – pensa di combattere il terrorismo, in questo caso islamico, con la guerra. I fatti hanno dimostrato sia in Afghanistan, sia in Iraq, sia altrove nel mondo, che il terrorismo non si distrugge con un esercito, ma che, essendo un’ideologia, vanno sradicate le idee che stanno sotto, la mentalità che sta sotto. Questa è la vera lotta contro il terrorismo.

Reazione di Israele

D. – Come interpretare storicamente, io direi soprattutto umanamente, la durissima reazione d’Israele, il cui popolo ha già conosciuto purtroppo la sofferenza, la vera sofferenza?

R. – Israele è come se fosse ossessionato dall’idea di essere la vittima del mondo e, in questo momento, del mondo arabo e del mondo musulmano. In realtà, ciò è sbagliato. Entrambi sono vittime. I palestinesi sono storicamente, certamente, le prime vittime nella regione, ma non è questo il problema. Hanno pensato di poter sradicare con un bombardamento ben mirato tutte le forze degli Hezbollah, il che non è accaduto e non potrà mai accadere, perché si sa che, tecnicamente, non si può sradicare il terrorismo in questo modo. Gli Stati Uniti non sono riusciti a prendere Bin Laden con tutta la loro tecnica, la più avanzata nel mondo. Lo stesso accadrà qui. Una cosa mi colpisce sempre: Israele non ha accettato, ed anche in questi giorni, la presenza di una forza internazionale.

Forza internazionale

Quando si dice che deve essere creata una forza internazionale robusta per separare le parti, si dice sempre che deve essere alla frontiera dell’altro Paese, cioè quella libanese. Perché non mettere, invece, cinque chilometri in Israele e cinque chilometri in Libano, per fare una zona tampone di dieci chilometri? L’idea di decidere per gli altri, del bene e del male, pare purtroppo la caratteristica dei capi attuali d’Israele. C’è la psicosi della guerra, del “noi siamo vittime e non c’è altro metodo che la guerra”. Io penso, invece, che dobbiamo fare un lavoro su di noi, interiore: noi arabi, come gli israeliani, noi libanesi, come i palestinesi, come i siriani, per liberarci da tutte queste psicosi e dire “vogliamo sì o no creare una zona di pace, una regione che potrebbe essere una delle più belle della terra, la regione mediorientale?” Dobbiamo e possiamo fare l’unione mediorientale.

Nuove prospettive nonostante la guerra

D. – Un’unione che includa anche Israele?

R. – Ma certo. Che includa l’Iran, la Turchia, l’Iraq. Tutti vogliono il loro spazio e non lo trovano. Giustamente lo vogliono. Concluderei con San Paolo, quando dice: “Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. E Sant’Agostino aggiungeva come commento: “Anche il peccato”. Da questa guerra può germogliare un fiore meraviglioso, come può germogliare la morte.

Foto:

By Michael Shvadron, Israel Defense Forces (Storming Ahead) [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons

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