Premio “Path to peace” alla memoria di mons. Rahho

0
© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

La Fondazione “Path to Peace” e la Missione della Santa Sede alle Nazioni Unite conferiscono oggi a New York il Premio “Path to Peace 2009”, a titolo postumo, all’arcivescovo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho. Il 29 febbraio del 2008 venne sequestrato all’uscita della Messa. Il corpo senza vita fu poi stato ritrovato dopo due settimane. Sul significato del Premio conferito alla memoria di mons. Rahho si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York e presidente della Fondazione “Path to Peace”:

R. – E’ l’urgenza di rispettare e promuovere la libertà religiosa, che è un diritto fondamentale inerente ad ogni persona e comunità di credenti, in tutti gli angoli del mondo. Il compianto mons. Rahho e tanti altri cristiani in Iraq hanno sofferto e continuano a dare questa testimonianza preziosa di pace. E questo rientra perfettamente tra gli scopi della Fondazione “Path to Peace”, annessa alla missione della Santa Sede presso l’Onu di New York, e cioè di mettere in evidenza ogni anno e riconoscere con un premio una personalità che si è distinta o si sta adoperando a promuovere la pace in un settore particolare.

Mons. Rahho testimone cristiano

D. – Come ricordare questa figura di testimone cristiano?

R. – Lo si è ricordato in tanti modi e continuiamo a ricordare lui e tutti i cristiani dell’Iraq, anzitutto con la preghiera e la solidarietà. Per quanto riguarda il riconoscimento dato dalla nostra Fondazione, esso trae spunto dal Vangelo, laddove Gesù dice: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”.

Chiesa irachena e dramma della violenza

D. – Tutta la Chiesa irachena ha subito e subisce il dramma della violenza: come aiutarla, come sostenerla?

R. – Favorendo le condizioni, non solo per la sua sopravvivenza, ma per il rispetto dei diritti dei singoli cristiani. La Chiesa in Iraq deve poter continuare a svolgere il suo tipico ruolo di moderazione, in una società nuova, dilaniata da tensioni e conflitti di ogni genere. E poi in Iraq, nonostante le dure prove che la Chiesa ha attraversato e ancora vive, si sono sviluppate molte opere di solidarietà, aiuto e dialogo che contribuiscono a riconnettere il tessuto sociale, culturale e religioso del Paese, e queste opere meritano il sostegno di tutti.

Prospettive in Iraq

D. – I contingenti militari internazionali stanno gradualmente lasciando l’Iraq. Qquali sono le prospettive?

R. – Quella più sensata è di sostenere, rafforzare il precario processo di pace all’interno del Paese. Sembra indispensabile che prima del ritiro completo, americani, europei, Onu, Stati confinanti, aiutino a risolvere le varie dispute fra le fazioni irachene: le questioni della ripartizione del petrolio, del federalismo e così via. Un sistema politico ragionevole e stabile in quell’area va a esercitare un impatto positivo su tutto il mondo arabo.

Iraq e comunità internazionale

D. – E in questo contesto cosa può e deve fare la comunità internazionale?

R. – Come si ama dire qui all’Onu, la comunità internazionale ha una precisa responsabilità di proteggere che, in questo caso specifico, si traduce in obbligo di assistere e cooperare nel governo e nella società civile locali, al fine di creare una cultura e delle strutture democratiche, rispettose dei diritti di ogni persona, al di là delle loro affiliazioni politiche, etniche e religiose.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *