Mons. Antoniazzi: serve una nuova primavera araba

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Gli effetti della “primavera araba”, il ruolo della Chiesa e delle Caritas nazionali nell’accoglienza dei migranti. Sono questi alcuni dei temi al centro, a Tunisi, di “Migramed Meeting”, l’annuale incontro di Caritas italiana con le Caritas europee e del Mediterraneo. Serve una nuova “primavera”, perché quella vissuta in alcuni Paesi non ha incarnato i valori che l’hanno ispirata. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi:

 

R. – Questa primavera si è trasformata forse in un inverno per certi Paesi, approfittando dello spirito di libertà che questa cosiddetta “primavera araba” aveva dato. E allora ne vediamo le conseguenze oggi in certi Paesi e soprattutto per i migranti che sono caduti in mano a tutti questi movimenti terroristici, questi trafficanti di uomini, che se ne approfittano. La realtà è triste. Bisogna vedere non solo i motivi e le paure, che possono venire, ma anche i loro problemi: la guerra, la fame, le malattie, la sete… C’è gente che muore di sete. E tutte queste sono realtà che la Chiesa oggi deve affrontare tramite e con la Caritas. La Chiesa naturalmente dipende anche dalle capacità che possiede da un Paese all’altro.

Il ruolo della Chiesa nei Paesi del Nord Africa

Nel mondo del Maghreb – a parte la Libia che vive una situazione un po’ particolare – la Chiesa ha un ruolo molto, molto importante: è sempre in contatto con i migranti ed è sempre in contatto con le persone che soffrono. E’ la nostra missione qui, è la nostra vera testimonianza:vorrei dire la nostra vera “predica”, perché il proselitismo – parlare in pubblico – per noi è proibito. Nessuno, però, ci impedisce di voler bene alla gente, soprattutto a coloro che soffrono, e questo non lascia indifferente il mondo, il popolo.

Logiche criminali dietro i flussi migratori

D. – Dietro la gestione dei flussi migratori, spesso si nascondono logiche di malaffare, quindi anche traffici economici. Può essere la soluzione dell’accoglienza in famiglie, in comunità, proprio una scelta preferenziale?

R. – Certamente, il fatto del commercio, del traffico delle persone umane è una questione economica per tutti questi movimenti chiamati “terroristici”. L’Europa non è capace di dare una soluzione. Sarebbe bello che in ogni famiglia, come ha detto, il cardinale Montenegro, ci fossero uno o due migranti che potessero essere adottati in modo da poter vivere degnamente. Ma noi cristiani abbiamo questa mentalità dell’accoglienza dello straniero? Nel Vangelo è scritto: “Ero straniero e mi avete accolto”. E’ una bella frase, ma siamo capaci di viverla? Questa è una domanda che io farei a tutti i Paesi, ai cristiani d’Europa.

Ventimiglia e il fallimento dell’Europa

D. – Un’immagine che ferisce oggi, a proposito di immigrazione, è quella che viene da Ventimiglia. E’ un po’ il fallimento di un’Europa che non riesce a trovare un approccio comune al fenomeno migratorio…

R. – L’Europa non ha una definizione chiara del terrorismo. Che cos’è il terrorismo? Nessuno lo sa. Ci sono troppe definizioni e contraddittorie e questo comporta soluzioni differenti. E la stessa cosa per ciò che riguarda i migranti: ogni Stato considera il migrante secondo una propria teoria e allora li accetta più o meno. L’Europa naturalmente non è unita su questo punto e le conseguenze le vediamo a Ventimiglia, con la Svizzera e con l’Austria. L’Europa dovrebbe ragionare un po’ di più, altrimenti è un fallimento non solo per coloro che partono inutilmente e rischiano di essere rispediti a casa, ma – fallimento più grande – per l’Europa stessa che non riesce a mettersi d’accordo sui principi essenziali, sui valori dei diritti dell’uomo: quello di vivere in pace – ogni uomo ne ha diritto – di fuggire da un posto dove c’è la fame e dove c’è la guerra ed essere accolto in altri Paesi.

Foto:

Lilian Wagdy, Creative Commons

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