Minacce di Riina. Intervista con don Ciotti

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

L’impegno contro la mafia è un atto di fedeltà al Vangelo. Lo ha affermato don Luigi Ciotti dopo le minacce di morte ricevute da parte del capomafia, Totò Riina. Nelle intercettazioni di conversazioni in carcere risalenti a un anno fa, il boss di “Cosa Nostra” paragona il fondatore di “Libera”, Associazione impegnata nella lotta contro la criminalità organizzata, al Beato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Il presidente italiano, Giorgio Napolitano, ha telefonato al sacerdote al quale ha espresso solidarietà. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

Le minacce sono rivolte anche a tutte le persone che in vent’anni di “Libera” si sono impegnate per la giustizia e la dignità. “Queste minacce – spiega don Luigi Ciotti – sono la prova che l’impegno è incisivo, graffiante, gli toglie la terra da sotto i piedi”. “Ma ci sono provvedimenti urgenti da prendere e approvare senza troppe mediazioni e compromessi”. “La politica – aggiunge don Ciotti – deve sostenere di più questo cammino”. L’azione coraggiosa e intelligente del fondatore di Libera – si legge inoltre del comunicato della presidenza della Cei – si è allargata ai tanti volti del degrado e del disagio sociale: dalla lotta alla criminalità organizzata fino alla cura da varie forme di dipendenza.

Trasformare luoghi di morte in vie di speranza

L’auspicio è che, seguendo l’esempio di don Ciotti, luoghi e situazioni di violenza e di morte “si trasformino in azioni di vita nuova e di speranza”. Questo grave episodio – scrive infine la presidenza nazionale dell’Azione Cattolica italiana – deve suonare come “un richiamo alle istituzioni e alla politica perché non si abbassi mai la guardia nella lotta alla criminalità organizzata”.

Si tratta di minacce che confermano come la presa di coscienza, il sequestro di beni e l’attività di “Libera” siano strumenti importanti contro la criminalità organizzata. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, don Luigi Ciotti:

 

R. – E’ la cultura che dà la sveglia. La dimensione educativa fa prendere coscienza alle persone, una coscienza critica e di responsabilità. La confisca dei beni, certamente, è stata una conquista dalla base: milioni di firme, migliaia di cittadini e soprattutto, vedere migliaia di giovani che adesso lavorano sui beni confiscati sono un segno che morde un po’ i giochi criminali e mafiosi. Il lavoro con i testimoni di giustizia, quello con i familiari delle vittime… E quindi, è un “noi” che vince: è un insieme di scelte, di impegno, di responsabilità che devono porre delle domande. Ma sono dei segni di positività. E a qualcuno, evidentemente, tutto questo disturba…

Impegno non frenato dalle minacce

D. – Queste minacce non frenano, anzi, rinnovano il suo impegno contro la mafia, un impegno che è un atto di fedeltà verso il Vangelo…

R. – “Per me è fondamentale, perché nella mia vita ho due riferimenti: il primo come sacerdote, come cristiano, come uomo, è il Vangelo, la Parola di Dio. E’ una Parola difficile, una Parola scomoda, una Parola carica di responsabilità, che invita a lottare contro il sopruso, la violenza, le ingiustizie. Ci esorta a stare dalla parte di chi fa più fatica, di essere un segno di libertà e di liberazione per chi viene schiacciato da queste forme di violenza, e non solo. E poi, un altro riferimento che ho come cittadino italiano, è la Costituzione italiana”.

Il Vangelo invita alla chiarezza

“Il Vangelo per me è fondamentale. Parla, invita alla “parresia”, che vuol dire “parlare chiaro” e che è il contrario di ipocrisia. Io ho avuto dei maestri, dal cardinale Michele Pellegrino al cardinale Ballestrero, che dicevano quello che pensavano ma in modo sempre ben radicato nella Parola di Dio, che ci insegnavano ad avere più forza e più coraggio, a non scendere a compromessi, a scegliere da che parte stare. E io sto dalla parte del Vangelo, da parte della Parola di Dio”.

Il confronto con don Puglisi

D. – Chi non scendeva a compromessi era il Beato don Pino Puglisi. Nelle intercettazioni del boss Totò Riina, lei viene paragonato proprio a don Pino Puglisi…

R. – Ma io sono una piccola, piccola cosa, con tutti i miei limiti e le mie fragilità. Per me, certamente, avere le sue cose, le pagine prese dal suo diario, avere ascoltato le testimonianze di tanti amici che l’avevano direttamente incontrato e conosciuto, mi ha permesso di dire: “questa è la strada”. La strada è quella di un annuncio, illuminare le coscienze ma anche saldare la terra con il cielo e saldarla con delle cose molto, molto concrete che danno libertà e dignità alle persone. E non dimenticarci, anche, di telefonare a Dio: lì non paghiamo neanche la bolletta… E quindi, chiedere a Dio che ci dia sempre una bella pedata per andare avanti…

Giovanni Paolo II e la lotta alla mafia

D. – Nelle intercettazioni è evidente anche tutta l’avversione della mafia nei confronti di Papa Giovanni Paolo II: quel “Pentitevi!” riecheggia ancora…

R. – Giovanni Paolo II, nella Valle dei Templi, lanciò in termini molto categorici un anatema senza sconti per dire che Vangelo e mafia sono incompatibili, ma anche per invitare i mafiosi a cambiare vita, a voltare pagina e anche per incoraggiare le meravigliose persone della terra di Sicilia, in quella circostanza, ad avere più forza, più coraggio; avere il coraggio di fare delle scelte, di non avere paura, di non temere. Ma devo anche dire che Benedetto XVI parlò di “mafia, strada di morte”, proprio in Piazza Politeama, a Palermo, e Papa Francesco, nell’incontro del 21 marzo fa un gesto importante, fondamentale, molto umile: “Io mi metto in ginocchio. Cambiate. Convertitevi”.

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