Crisi in Libano, intervista con padre Zogheib

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Un forte impegno comune per riportare la pace in Libano e per costruire un clima di stabilità nell’intero Medio Oriente. Con questo intento si è conclusa ieri a Roma, presso il Ministero degli esteri, la Conferenza internazionale per il Libano. Nella conferenza stampa, sono state presentate le decisioni prese dai ministri di 15 Paesi, dall’ONU, dall’Unione Europea e dalla Banca Mondiale. Ma quali sono state, in Libano, le reazioni della popolazione dopo la chiusura del summit di Roma? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a padre Joseph Zogheib, già responsabile del Programma arabo della nostra emittente:

 

R. – Noi abbiamo visto questa iniziativa italiana come una speranza, perché l’Italia è l’unico Paese che ha cercato, almeno, di fare qualcosa per il Libano. Quello che noi chiediamo è la preghiera per il popolo libanese che vive questa disgrazia. Vi assicuro che in 15 anni di guerra civile non abbiamo mai sentito questa amarezza e questo pericolo nei confronti della nostra patria.

D. – Padre Joseph, quali sono stati i commenti della stampa libanese sul vertice di Roma?

R. – Secondo la stampa libanese, c’era inizialmente un po’ di speranza. Adesso, però, sulla stampa si parla dell’insuccesso per non essere riusciti ad imporre ilcessate-il-fuoco. Siamo in una situazione di attesa: speriamo in qualche posizione internazionale più forte che possa riuscire a fare realmente qualcosa per questo Paese.

D. – Quale è adesso la situazione del Libano, in particolare nel sud e a Beirut, dove ti trovi?

R. – Tutto il Libano è in una condizione di blocco generale: non si può uscire e non si può entrare. Tutti gli stranieri stanno lasciando il Paese. Questa situazione ha isolato anche una parte della popolazione del sud: centinaia di villaggi vivono una situazione umanitaria molto, molto precaria e purtroppo nessuno riesce ad arrivare in questa area. Se continuerà il blocco totale cominceremo, anche qui a Beirut, a sentire le conseguenze.

D. – Come sta reagendo la popolazione libanese di fronte al dramma della guerra?

R. – La nostra disgrazia è la guerra, la nostra grazia è la compattezza, almeno finora, del popolo libanese. Non ci sono divisioni: tutti gli sfollati – che appartengono in maggioranza agli sciiti – sono stati accolti dai cristiani e da appartenenti ad altre confessioni religiose. Il fatto è che la guerra non è tra due Stati, ma è tra uno Stato potente, Israele, contro un partito, quello degli Hezbollah, che sono stati addestrati per più di 20 anni a questo tipo di guerra.

D. – E in questa situazione, quali sono le responsabilità dell’Iran?

R. – Sappiamo bene non ci siamo noi libanesi dietro a questa guerra. Stiamo pagando le conseguenze di questa politica assurda, che stiamo subendo in Libano. La decisione non è nostra; la decisione non è neanche degli Hezbollah, ma è quella dell’Iran. Questo è quello che dicono, ormai, tutti i moderati. Una volta che cede l’Iran, forse per noi ci sarà speranza.

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