L’Italia e il 25 aprile, i Papi e la guerra

© Amedeo Lomonaco, il mio articolo su VaticanNews Sono passati 74 anni dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Ripercorriamo pagine di storia, dense di sofferenza ma anche di speranza, attraverso i pronunciamenti dei Papi sulla guerra e i suoi drammi.

È il 25 aprile del 1945. L’insurrezione di Milano apre la strada alla fine del regime nazifascista e all’occupazione militare. Sta per terminare la seconda guerra mondiale. La festa della Liberazione viene istituita nel 1946 dal governo guidato da Alcide De Gasperi. “Festeggiare il 25 aprile – ha detto stamani il presidente italiano Sergio Mattarella durante la cerimonia di Vittorio Veneto – significa celebrare il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni”.

Pio XII e la fine della guerra

Il 25 aprile è una pagina della storia d’Italia che si intreccia con quella dell’Europa, devastata dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Nel radiomessaggio di Papa Pio XII del 9 maggio 1945 il Pontefice ricorda che “la guerra ha accumulato tutto un caos di rovine, rovine materiali e rovine morali, come mai il genere umano non ne ha conosciute nel corso di tutta la sua storia”. “Si tratta ora – aggiunge Papa Pacelli – di riedificare il mondo. Come primo elemento di questa restaurazione, Noi bramiamo di vedere, dopo una così lunga attesa, il ritorno pronto e rapido, per quanto le circostanze lo permettono, dei prigionieri, degl’internati, combattenti e civili, ai loro domestici focolari, verso le loro spose, verso i loro figli, verso i loro nobili lavori di pace”.

Giovanni XXIII, la guerra e le sue aberrazioni

Nel 1945 il nuovo nunzio a Parigi è Giovanni Battista Roncalli. Nella Francia, liberata come l’Italia dal nazifascismo, lo attende una situazione particolarmente intricata. Il governo provvisorio chiede la destituzione di ben trenta vescovi, accusati di collaborazionismo con il governo di Vichy. La calma e l’abilità del nuovo nunzio riescono a limitare a solo tre il numero dei presuli destituiti. Nella lettera enciclica “Pacem in terris del 1963”, San Giovanni XXIII sottolinea che gli orrori del secondo conflitto mondiale sono un monito indelebile per un mondo minacciato dalla guerra fredda: “Non si deve permettere – scrive Papa Roncalli – che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità”.

Paolo VI: la pace è un bene fragile

Nel 1945 Giovanni Battista Montini è sostituto della Segreteria di Stato. Dopo essere salito al soglio petrino, San Paolo VI ricorda, in più occasioni l’importanza del valore della pace. Nell’udienza generale del 26 agosto del 1964 sottolinea che la pace è “un bene supremo per l’umanità che vive nel tempo; ma è un bene fragile, risultante da fattori mobili e complessi, nei quali il libero e responsabile volere dell’uomo gioca continuamente. Perciò la pace non è mai del tutto stabile e sicura; deve essere ad ogni momento ripensata e ricostituita; presto si indebolisce e decade, se non è incessantemente richiamata a quei veri principii che soli la possono generare e conservare”.

Giovanni Paolo II: una sterminata schiera delle vittime

Nel mese di aprile del 1945 i tedeschi hanno da poco lasciato la città di Cracovia. Il giovane Karol Józef Wojtyła, è uno studente nella Facoltà teologica dell’Università Jagellonica e viene eletto vicepresidente dell’organizzazione studentesca “Bratnia Pomoc” (“Soccorso fraterno”). Nel 1995, in occasione del 50.mo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, San Giovanni Paolo II ricorda quella pagina intrisa di dolore: “Sentiamo accanto a noi la sterminata schiera delle vittime della guerra. Se la memoria degli uomini è di breve durata, certamente le innumerevoli anime dei civili e militari caduti, dei torturati a morte nei campi di sterminio, sono nelle mani del Dio vivente. Con la sua morte e risurrezione Cristo, il Figlio dell’eterno Padre, tutte le ha abbracciate”.

Benedetto XVI: dopo la guerra, un’Europa da ricostruire

È il mese di aprile del 1945. Un giovane tedesco, che era stato assegnato ai servizi ausiliari antiaerei, viene recluso in un campo guerra in un campo degli Alleati, vicino ad Ulma. Si chiama Joseph Ratzinger e, dopo l’elezione al soglio di Pietro, rammenta in più occasioni la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Nel 2009, in occasione del concerto dei giovani contro la guerra, Papa Benedetto XVI ricorda quella “dolorosa pagina di storia intrisa di violenza e di disumanità, che ha causato la morte di milioni di persone, lasciando i vincitori divisi e l’Europa da ricostruire”. “La guerra, voluta dal nazionalsocialismo, ha colpito tante popolazioni innocenti dell’Europa e di altri Continente”. “Nessuno purtroppo – aggiunge Benedetto XVI – riuscì a fermare quell’immane catastrofe: prevalse inesorabile la logica dell’egoismo e della violenza. Ricordare quei tristi eventi sia monito, soprattutto per le nuove generazioni, a non cedere mai più alla tentazione della guerra”.

Francesco: si impari dal passato

Nel 1945  Jorge Mario Bergoglio è un bambino. Dall’Europa arrivano in Argentina gli ultimi echi di una guerra che ha devastato l’Europa e in particolare l’Italia, la terra dei suoi avi. Dopo l’elezione come Pontefice, Papa Francesco ricorda spesso il dramma della seconda guerra mondiale. Nell’udienza generale del 6 maggio del 2015 esprime in particolare l’auspicio “che la società umana impari dagli errori del passato e che di fronte anche ai conflitti attuali, che stanno lacerando alcune regioni del mondo, tutti i responsabili civili si impegnino nella ricerca del bene comune e nella promozione della cultura della pace”.

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