Don Terranova vittima di minacce mafiose

© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Un finestrino imbrattato di sangue, le gomme tagliate e bossoli sparsi attorno all’auto. La vittima di queste intimidazioni è don Giuseppe Terranova, cappellano militare e amministratore parrocchiale della Chiesa di Maria Santissima Addolorata a Borgo Molara, frazione di Monreale con notevoli problemi sociali. L’episodio risale allo scorso primo gennaio ed è avvenuto a pochi chilometri da Palermo. Non è la prima volta che in questo territorio i sacerdoti vengono presi di mira da gruppi criminali: il 15 settembre 1993 è stato ucciso, per ordine della mafia, don Pino Puglisi, di cui è in corso il processo di Beatificazione. Ma cosa significa predicare il Vangelo in queste difficili? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto allo stesso don Giuseppe Terranova:

 

R. – Significa essere contro ogni forma di prevaricazione, contro ogni abuso, ogni forma di prepotenza. In questi contesti dove certa gente è convinta che il territorio è “cosa loro” e non è cosa da gestire a livello sociale, la presenza del sacerdote impegnato dà fastidio ed è quello che è successo. Io ho dato fastidio perché le mie attività le svolgo soprattutto in orari serali e questo fatto ha dato da pensare a questa gente che stava perdendo il suo territorio. Predicare il Vangelo allora che significa? Significa semplicemente essere preti antimafia? Essere preti di frontiera? Significa essere preti fino in fondo con tutto il cuore, con tutta la generosità e con tutta la certezza che Dio è con noi. Ed io sento questa presenza, non mi sento solo.

Predicare l’onestà

D.- Padre, lei ha sempre detto di avere come obiettivo quello di predicare l’onestà. Questa missione vale ancora di più adesso dopo queste intimidazioni…

R. – Ma certo, a maggior ragione. I valori sono valori, sono eterni. E’ il discorso della chiarezza, della linearità, della onestà anche nei nostri rapporti interpersonali, senza troppe fughe, senza troppi camuffamenti. Questo mi rafforza ancor di più perché è segno che allora ho centrato l’obiettivo. Non mi intimidisce, assolutamente, anzi questo atto vile, perché solo chi opera nelle tenebre può fare atti di questo genere, mi ha reso ancor più determinato nella mia azione e nel mio servizio sacerdotale in questa terra. La gente si sta svegliando, si sta scuotendo. E’ rimasta scossa e questo mi fa piacere perché è segno che si sta creando una situazione nuova. Certamente non posso io adesso abbandonare e deludere le attese di questa gente. Dobbiamo veramente alzare il capo perché la nostra liberazione è vicina,come ci ricorda il profeta Isaia. Dio è più forte, solo il bene deve vincere e non il male. Il male non può sconfiggere il bene, non può e non deve. E noi dobbiamo essere impegnati in questa linea.

Palermo è anche un intreccio di borgate

D. – Impegnati per tutti e poi sapendo anche che Palermo non è solo Il Politeama o Via della libertà …

R.- Quello che vorrei dire alle istituzioni locali è che qui si cura solo l’immagine; Palermo non è solo il Politeama o Via della Libertà, ma anche le borgate che sono le zone più fragili, più a rischio perché sono terra di nessuno sono abbandonate a se stesse. E’ gravissimo perché certa gente è convinta che il territorio gli appartiene. E’ “cosa loro”, è “cosa nostra” per usare un termine specifico. Il movimento che si è creato  in parrocchia, questo tipo di attività che sta un po’ scuotendo le coscienze, sta dando alle nostre famiglie la possibilità di esprimersi, questo fatto crea un disagio perché questa gente pensa di perdere il suo potere.

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