Convegno sulla Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

Ultimo giorno del convegno, intitolato “Io ho scelto voi. Sacerdoti per il nostro tempo” e promosso per celebrare i 70 anni della Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali. Stamani nella sede del congresso, la Domus Pacis a Roma, è stato presentato dal vescovo di Como, mons. Diego Coletti, il documento “Orientamenti pastorali per la promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale”, già approvato dall’Assemblea plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Il documento – ha ricordato il presule – è strutturato in tre parti. La prima esamina la situazione attuale delle vocazioni in varie zone del mondo. Nella seconda parte viene offerta una presentazione organica del ministero e dell’identità sacerdotale. Nell’ultima sezione del documento, sono raccolti suggerimenti per l’animazione pastorale delle vocazioni sacerdotali. Sono tre i principali dati di contrasto alla pastorale vocazionale: il calo demografico e la crisi della famiglia; la diffusa mentalità secolarizzata e le condizioni difficili della vita e del ministero del sacerdote, esposto a profonde trasformazioni ecclesiali e sociali che rischiano di ridurre il ministero sacerdotale ad un mestiere. Nel testo sono anche ricordate le condizioni necessarie perché la grazia della chiamata trovi terreno fecondo. Tra queste, le insostituibili funzioni della preghiera e della famiglia, il valore della pastorale integrata e lo slancio all’evangelizzazione attraverso una coerente e gioiosa testimonianza di vita dei presbiteri.

Intervista con il cardinale Zenon Grocholewski

Per un bilancio a 70 anni dalla nascita della Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali, voluta da Papa Pio XII, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco il prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, il cardinale polacco Zenon Grocholewski:

R. – Questa Opera Pontificia ha svolto la sua attività in diverse epoche. All’inizio, Pio XII ha avuto davanti agli occhi la realtà di una Chiesa che andava in nuove zone, in nuove missioni, perché c’era bisogno di suscitare tante nuove vocazioni missionarie. Oggi, praticamente, la Chiesa è presente in tutto il mondo. Ma i problemi sono il relativismo, il secolarismo e il bombardamento dei mezzi di comunicazione che rendono ai giovani più difficile ascoltare la voce, la chiamata di Dio.

Servono sacerdoti santi

D. – Di quali pastori oggi ha bisogno il mondo, in un tempo sfigurato dalla secolarizzazione ma anche bisognoso di una nuova evangelizzazione?

R. – Semplicemente di sacerdoti santi. Un piccolo esempio: San Giovanni Vianney non era un genio, non era un grande teologo, ma un semplice sacerdote di campagna, che aveva anche proprie paure. Ma questo semplice Santo ha fatto per la Chiesa molto di più di centinaia di altri sacerdoti messi insieme. Oggi la Chiesa ha bisogno di sacerdoti che vivano il sacerdozio, che non è il loro sacerdozio, ma il sacerdozio di Cristo.

I sacerdoti non sono superuomini

D. – Dunque il sacerdote non è un “superuomo” ma un uomo che ha anche debolezze, solitudini. Qual è il ruolo dei laici, in particolare, proprio per cercare di togliere, se c’è, questa patina di solitudine e anche per allontanare l’uomo, il sacerdote, da possibili fragilità?

R. – Una volta un mio amico, un sacerdote, ai funerali di suo padre ha visto un anziano sacerdote che piangeva. Allora si è avvicinato a lui, non lo conosceva, e gli ha chiesto: lei è venuto qui, ed è così commosso… Ha conosciuto mio padre? Il sacerdote gli ha risposto: io sono venuto perché tuo padre ha salvato il mio sacerdozio. Noi sacerdoti non siamo superuomini, siamo uomini con debolezze e l’appoggio, da parte dei nostri amici laici, può essere di grande aiuto perché noi sacerdoti normalmente viviamo soli e molto spesso quello che colpisce è proprio la solitudine. Evidentemente, non è mai una vera solitudine se viviamo uniti con Cristo ma ha una grande importanza anche il sostegno, l’aiuto da parte dei laici.

Vocazione sacerdotale del cardinale Grocholewski

D. – Eminenza, quando si è davanti ad una bella storia d’amore si è portati a chiedere ai coniugi, ai fidanzati, come sia nata questa storia, come si sia sviluppata. Come è nata e in quale contesto, la sua vocazione sacerdotale?

R. – E’ nata quando ero molto piccolo e sapevo che i miei genitori erano contenti della mia scelta ma non hanno mai cercato di spingermi. Questo per me è stato molto importante. Poi (in Polonia) c’era il problema del comunismo. Mi ricordo quando ho incontrato un mio amico che era nella scuola di polizia e mi ha detto: tu hai preso una strada difficile perché la Chiesa sarà distrutta. La Chiesa – aveva aggiunto – non ha cittadinanza nella nostra nazione. Questo, però, non mi ha per niente spaventato. Anzi, al contrario, mi ha dato più spinta per affrontare la sfida. Sapevo che Dio non può perdere, che non si potrà mai togliere la fede dalla vita degli uomini perché Dio esiste. Era una sfida che mi dava coraggio piuttosto che paura. Io non ho mai avuto paura.

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